INTERESSANTE LETTERA AUTOGRAFA
SU CARTA INTESTATA DI LORENZO ALESSANDRI
A PIERO FORTUNATO
DATATA 29 OTTOBRE 1956

Lorenzo Alessandri nasce a Torino nel 1927. Già da piccolo è ossessionato da scheletri e mostri, tanto da disegnarli di nascosto dallo sguardo paterno per poi raccogliere i suddetti disegni in una cartellina chiamata Pascal. Con questo nome in seguito Alessandri indicherà una serie di disegni ed incisioni aventi come soggetto quelli che lui definiva i suoi “affascinanti mostri”.
Cresciuto nel quartiere torinese della Crocetta nel 1944,  per sfuggire alle persecuzioni tedesche, entrò nel Sovrano Militare Ordine di Malta.  In esso Alessandri, non ancora maggiorenne, svolse diverse mansioni, tra le quali possono essere annoverate quelle di barelliere, infermiere e di aiutante in cucina. È in questo periodo che l’autore  entrò in contatto con quella che definì “la morte, quella vera, orrenda, ripugnante” (1) e comprese che le sue fantasie infantili non erano nulla se rapportate alla realtà. Questo, unito al bisogno di esprimersi liberamente, lo portò, tra il ’44 e il ’45, a fondare insieme con altri artisti piemontesi la “Soffitta Macabra”. La soffitta, situata nel quartiere torinese Cit Turin (2), divenne un punto di ritrovo per un gruppo di ragazzi che avevano in comune il desiderio di fuggire dagli orrori della guerra. Venne in seguito soprannominata macabra dai frequentatori a causa dell’arredamento presente in essa; le pareti, infatti, erano ricoperte di dipinti e disegni raffiguranti impiccati e scheletri, a fianco ai quali trovavano posto scaffali ricolmi di teschi (3) ed oggetti misteriosi legati al mondo dell’occulto (4).
Alessandri, per anni, è stato considerato un personaggio strettamente legato al mondo dell’occulto. Parte di questa nomea risale ai tempi della Soffitta Macabra, luogo in cui spesso avvenivano ricerche riguardanti il mondo del paranormale e l’occultismo.  Il luogo che vide nascere il gruppo Surfanta era arredato con teschi e ossa umane trafugate dai cimiteri ed utilizzate per gli studi di anatomia dei frequentatori.
Com’è stato detto in precedenza (5), molto presto la soffitta divenne un porto franco per alchimisti, studiosi di filosofie orientali e occultisti. Gli anni della Soffitta furono per Alessandri equiparabili ad una fucina dentro cui si sarebbero forgiati alcuni degli interessi che lo appassionarono per il resto della vita. Può essere interessante porre accento sul clima generale che animava le serate, e non solo, della Soffitta. A dispetto del nome, infatti al suo interno regnava uno spirito goliardico tale da spingere i frequentatori ad organizzare spesso scherzi, alcuni dei quali rivolti verso le istituzioni accademiche. A riprova di questo, possono essere citati alcuni aneddoti narrati dal professor Ambesi. Il primo di essi riguarda il furto, effettuato da Alessandri e da altri complici, di un manichino utilizzato all’accademia d’arte per il disegno dal vero, ribattezzato Pandora; dopo il furto venne portato nella Soffitta e posto all’entrata di essa. Tutti gli avventori avevano l’obbligo di renderle “omaggio”  ogni volta che vi entravano, baciandone le parti intime. In un’altra occasione, Alessandri organizzò, con la collaborazione di alcuni di quelli che diventeranno in seguito artisti Surfanteschi, il rapimento di Gian Luigi Marianini grande amico del gruppo, divenuto famoso come concorrente di "Lascia o Raddoppia" nel 1956. La notizia del rapimento fu ritenuta valida da importanti quotidiani a tiratura nazionale che si presentarono sul luogo del “rilascio” per documentare l’accaduto (6). Questi sono solo alcuni degli scherzi organizzati da Alessandri anche se il più importante rimane quello che mise in atto con l’amico Peter Kolosimo. Insieme crearono una leggenda (7) che ha contribuito a trasformare una montagna posta all’imbocco della Val di Susa in uno dei luoghi più misteriosi d’Italia. La montagna in questione è il Musinè che, grazie alle voci diffuse dai due, è col tempo diventata meta di ufologi e appassionati di fenomeni inspiegabili, nonché argomento di libri e articoli su riviste specializzate e non.

La continua voglia di beffare l'autorità costituita, unitamente ad alcune voci diffuse per scherzo dall’amico Gianluigi Marianini (8), contribuì a trasformare il “Re Delirio”, precedente soprannome del pittore, in “Papa nero”.  Nel volume Satana ti vuole, che contiene una delle migliori interviste fatte al pittore torinese, Alessandri spiega l’operato di Marianini con termini particolarmente coloriti. Parlando della presunta esistenza di quarantamila satanisti nell’area di Torino, sostenuta da Marianini in Mistici e maghi ... a Torino, Alessandri, che molto spesso  cercò di smontare questo luogo comune, liquida l’argomento definendo le affermazioni di Marianini “tutte balle”. Secondo il pittore la motivazione che spingeva l’amico a diffondere tali dicerie era il gusto che provava nel raccontare frottole.
Gusto comune a molti frequentatori della Soffitta Macabra, che negli anni li spinse ad inventare numerose storie con il solo scopo di divertirsi, contribuì alla creazione di vere e proprie leggende come quella già citata riguardante il Musiné. Chi scrive ritiene necessario riportare il commento di Alessandri in maniera completa: “Prendete ad esempio l’intervista a Marianini, che sostiene che a Torino ci sono quarantamila satanisti. Io lo conosco da quarant’anni. Tutte balle, tutte balle, un satanista ogni venticinque persone?... Ma no, lui lo fa così, per il gusto di raccontare frottole: in questo mezzo secolo le più belle le abbiamo inventate noi, abbiamo inventato che i dischi volanti sono atterrati sul Musiné con Kolosimo, un altro amico da tanto tempo, abbiamo inventato qualsiasi cosa. Insomma, Marianini è religioso: ebbene, fa male alla chiesa dicendo queste cazzate” (9)
Un altro fatto che contribuì ad accrescere la fama sacrilega di Alessandri fu la pubblicazione di alcune foto nel volume La città magica. In esse il pittore indossa abiti simili a paramenti sacri, perché impegnato in una rappresentazione teatrale
La fama così guadagnata, in principio lo divertiva, secondo quanto ricordato dall'ex moglie nell’intervista fatta le da chi scrive, anche perché, attraverso essa, le vendite dei suoi quadri aumentarono considerevolmente. Con il passare del tempo, l’atteggiamento di Alessandri nei confronti delle voci che si diffondevano sui legami intessuti con una setta satanica lentamente mutò. Una delle motivazioni che probabilmente lo spinsero a porsi diversamente, nei confronti di certi argomenti, è da ricercare nella morte di una ragazza nei boschi di Giaveno (10). È probabile che l’idea che fosse associato alla morte della ragazza, lo colpì profondamente, tanto da spingerlo a querelare il settimanale Venerdì di Repubblica perché in un articolo sul satanismo riprodusse una foto, avulsa dal resto dell’articolo, in cui lui compariva sul suo balcone. La nomea che lo vedeva legato a culti satanici crebbe tanto che, col tempo, da semplice adoratore del maligno si tramutò in vescovo di una chiesa di Satana, situata nel quartiere torinese della Crocetta.
Uno dei libri che più contribuì ad accrescere le voci in questione, è Casa nostra di Camilla Cederna. Il testo in questione contiene all’interno molte notizie errate e tendenziose, tanto da poter essere considerato un insieme di dicerie malamente raccolte, con lo scopo di impressionare i lettori (11). Il testo preso in esame è una conferma di quanto appena sostenuto. L’autrice, invitata da un conoscente nella villa di Alessandri, fa una breve biografia del pittore utilizzando come fonte il volume Ora di Luna (12). Com’è stato sottolineato in precedenza, tutte le notizie narrate nel volume sono frutto di invenzione quindi, prive di ogni fondamento. Lo stesso Alessandri era convinto che parte della sua nomea fosse dovuta al libro della Cederna. Dopo la pubblicazione del testo citato, infatti, Alessandri cominciò a ricevere telefonate e lettere di persone comuni che richiedevano il suo intervento attraverso pratiche occulte. La maggior parte delle volte erano ignorate ma in alcuni casi, quelli che suscitavano in lui maggior compassione, si faceva spedire qualche oggetto personale assicurando ai malcapitati il suo intervento; le lettere contenenti gli oggetti erano quindi buttate via senza che egli intervenisse in alcun modo. La maggior parte delle volte, pochi giorni dopo la ricezione del plico il pittore riceveva lettere di ringraziamento da parte dei “miracolati”, per utilizzare un termine impiegato da Alessandri, che lo ringraziavano per l’aiuto datogli (13).

Tali voci, che si diffusero tra gli studiosi dell’occulto e non solo, lo spinsero, a volte, ad intraprendere diverse azioni legali nei confronti dei suoi detrattori. Una di queste fu avviata nei confronti di due personaggi molto noti al pubblico. Alessandri fu invitato come ospite ad una puntata della trasmissione televisiva di RAI 2 intitolata Uragano, avente come argomento la vita di alcuni personaggi passati alla storia come mistificatori. Alla fine della puntata il conduttore, Piero Vigorelli, annunciò l’arrivo di “uno che si vanta di essere un vescovo di satana”, poi, rivolto ad una donna presente in studio, la professoressa Cecilia Gatto Trocchi, le chiese se conoscesse il personaggio in questione. La risposta di quest’ultima fu: “Altro che, l’ho conosciuto a un convegno sul Diavolo a Torino e mi ha chiesto di fare dei riti satanici con lui”. Alessandri querelò entrambi per diffamazione grave con l’intenzione di devolvere in beneficenza i proventi ottenuti dal pagamento dei danni da parte dei due studiosi (14).
Uno degli argomenti che più infastidiva il pittore di Giaveno, era sicuramente la voce secondo cui a Torino risiedessero quarantamila satanisti. Com’è stato precedentemente dimostrato, questa voce fu confermata da Gianluigi Marianini, anche se la colpa della sua diffusione non può essere imputata allo studioso torinese. In realtà essa nacque da una serie di fattori che, sapientemente manipolati dai media, trasformarono Torino in una città nera. Uno di questi fattori è, sicuramente, un convegno dal titolo “Diábolos-Diálogos-Dáimon” che si tenne a Torino nel 1988. A causa di ciò molti quotidiani e settimanali a tiratura nazionale e non solo (15), indicarono il capoluogo piemontese come città oscura “dove risvegliare certe forze è più pericoloso che altrove” (16). Un altro fattore che contribuì a rendere Torino una città legata indissolubilmente al maligno, è l’esistenza di un decreto di Carlo Emanuele III, risalente al 21 luglio 1773, imponeva la pena di morte ad ogni persona riconosciuta colpevole di pratiche stregonesche (17). Questo decreto è stato più volte utilizzato dai sostenitori delle teorie secondo cui Torino sarebbe, appunto, una città popolata da adoratori del demonio già dal XVIII secolo. Com’è stato detto, Alessandri si opponeva apertamente a tali teorie in parte perché le riteneva ridicole e in parte perché, essendo uno studioso dell’occulto ,le trovava prive di fondamento in quanto non confermate da fonti attendibili. Lui stesso ammise di aver conosciuto, intorno alla metà degli anni cinquanta, uno degli ultimi fedeli dell’ultima chiesa satanica torinese, smantellata proprio in quegli anni. Il personaggio in questione era un clochard torinese conosciuto dal pittore in un bar nei pressi della Mole Antonelliana, che si faceva chiamare Papé Satàn (18). In genere Alessandri gli offriva da bere per poterlo ritrarre ma una sera questi, dopo aver lasciato un po’ di vino nel bicchiere, lo consacrò con i gesti e la formula del rituale cristiano. In seguito confessò ad Alessandri di essere un prete spretato (19) e di essere rimasto l’unico fedele ancora lucido, essendo gli altri due rimasti, uno troppo vecchio e l’altra chiusa in manicomio a causa di problemi mentali (20). Da questo personaggio il pittore ereditò buona parte degli strumenti e dei paramenti che andarono in seguito a formare la sua collezione di oggettistica occulta. Questa collezione contribuì ad accrescere la sua fama di pittore maledetto,  anche se, come ribadì spesso, non utilizzò mai nessuno degli oggetti in questione.  La suddetta collezione, ora di proprietà di una amico del pittore, Aldo Proserpio, annovera alcuni oggetti unici al mondo, tutti, o quasi, rappresentati in opere del pittore. Buona parte degli oggetti sono stati raffigurati o descritti nel volume “Ora di Luna”, storia surreale di come Alessandri si avvicinò ad una congrega oscura. Dopo una breve introduzione, avente per oggetto la storia di Francesco Prelati e l'evocazione del demone Baron per conto di Gilles de Rais, all'interno del volume, riccamente illustrato da disegni che ricalcano i Pascal, opere giovanili dell'autore, trovano spazio alcuni dei più interessanti pezzi di questa  collezione.
Tra gli oggetti più particolari, figurano tre bocce di legno ricoperte di chiodi. Questi oggetti, risalenti ai primi decenni del secolo scorso, al loro interno dovrebbero contenere capelli, peli e unghie umani e  venivano utilizzate nel corso di rituali occulti con lo scopo di legare e danneggiare le vittime designate. Com'è già stato sottolineato, alcuni di questi oggetti erano raffigurati nelle opere di Alessandri, alcuni più frequentemente di altri. È questo il caso di una coppia di candelabri risalenti alla prima metà del secolo scorso. Secondo quanto sostenuto dal pittore in un'intervista contenuta nel volume “Satana ti vuole”, questa coppia di candelabri, alti circa 30 cm e raffiguranti una gallina, un serpente e un volto cornuto, proverrebbero da una chiesa di satana di Copenaghen ed erano , sempre secondo quanto sostenuto dal pittore da una lega di piombo, ferro, rame, stagno, antimonio. Nello stesso volume è descritto un oggetto che però non è raffigurato chiaramente. Si tratta di un rospo di bronzo proveniente da Praga, creato versando bronzo fuso su un vero rospo, secondo la tradizione. Questo procedimento è  poco credibile, piuttosto è possibile che il calco del rospo sia stato ricavato dall'animale e successivamente riempito di bronzo. A detta del pittore, anche questo oggetto veniva utilizzato durante le messe nere, più precisamente era adorato come ricettacolo del maligno.
Tra gli oggetti legati al mondo dell’occulto più caratteristici possono essere annoverati tra le altre cose, una testa di cinghiale che, secondo quanto sostenuto da Alessandri, era posta in una dependance di una reggia di proprietà dei Savoia e diverse statuette lignee trafitte da chiodi, utilizzate, secondo il principio della magia simpatica, per danneggiare le vittime designate. Nella collezione trovavano spazio, inoltre, un barattolo contenente denti umani e la zampa di un capro imbalsamata, anch'essi utilizzati durante i rituali occulti anche se, probabilmente, uno degli oggetti più caratteristici è un altare portatile per eseguire le messe nere. Nella tradizione cristiana si diffusero prevalentemente durante il XVIII e il XIX secolo ad opera dei missionari. Secondo lo stesso principio, quello di poter celebrare una funzione liturgica anche se lontani da una cappella consacrata, questo altare contiene al suo interno tutto ciò che poteva servire nel corso di una messa nera. Più specificatamente sono ravvisabili due candelabri sui quali venivano inserite due candele nere fatte di grasso umano, un drappo con ricamata una croce rovesciata, un teschio umano utilizzato per contenere le ostie sconsacrate, un calice, un leggio ed un pugnale in ferro. Sempre in ferro sono costituiti due pugnali della medesima collezione. Entrambi ricavati da frammenti di granate risalenti alla prima guerra mondiale, furono forgiati per essere utilizzati durante le messe. La scelta ricadde sui frammenti di granate perché intrisi già di sangue umano quindi magicamente più  ”carichi”. Tra gli oggetto provenienti dalla cappella, dotati di caratteristiche peculiari, possono essere annoverati uno scettro di ferro simile ad uno utilizzato da Aleister Crowley e un patto stretto con un demone da una strega dei primi decenni del '900. Dalla data presente sul documento è presumibile che risalga al 1926 e che la durata del legame dovesse essere di 25 anni. Le scritte presenti in esso sono principalmente redatte utilizzando caratteri che ricalcano alcuni alfabeti magici tra i quali spiccano, i sigilli raffigurati nella Filosofia Occulta di Enrico Cornelio Agrippa e alcuni alfabeti presenti nella  Clavicula Salomonis o Chiave di Salomone, testo probabilmente redatto a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo.(compare la prima versione stampata nel 1629). Una prima analisi evidenzia alcune caratteristiche interessanti, è singolare ad  esempio la cura con cui il testo è redatto, che testimonia perlomeno una conoscenza di base della calligrafia e della pittura. Questo ed altri elementi quali ad esempio la presenza di una croce di Gerusalemme o di alcuni piccoli particolari pongono alcuni dubbi sull'origine della pergamena in questione, dubbi che potranno essere chiariti solo da esami più accurati. Se di alcuni di questi oggetti sono insicure le origini, di uno di essi almeno si conosce la leggenda: la Mano di Gloria.  Secondo la tradizione magica, al mondo attualmente esistono solo 3 di questi artefatti: una è conservata a Praga, ma di essa si sono perse le tracce, una è conservata a Londra, e un'illustrazione della stessa si trova nell'enciclopedia Man Mith and Magic e la terza è appunto quella di proprietà di Alessandri. A differenza di quella conservata a Londra, in avanzato stato di decadimento, quella che era di proprietà dai Alessandri è conservata in ottime condizioni, come si può vedere dalla foto. Questo è dovuto, probabilmente dall'autore della stessa, lo studioso Girolamo Segato (21), scopritore di una tecnica per conservare i tessuti umani erroneamente definita pietrificazione. Attraverso questo procedimento Segato era in grado di conservare i tessuti umani lasciandone intatta la colorazione e l'elasticità.
Le motivazioni che spinsero il pittore a vendere buona parte di questi oggetti, sono da ricercarsi nelle credenze religiose  maturate nel corso di una vita. Alessandri fu educato alla religione cattolica ma, a suo giudizio, non poteva considerarsi un buon cristiano. Egli, infatti, non credeva nell’esistenza del Diavolo come entità, come invece ribadì Paolo VI nell’Udienza generale del 15 novembre del 1972. Sin da quando era bambino, fu terrorizzato dall’idea dell’inferno ma, crescendo, acquisì la consapevolezza che né lui, né nessun altro essere umano, avrebbero potuto ferire Dio tanto da far sì che Egli gli negasse il perdono. Con gli anni, accrebbe in lui la convinzione che il Diavolo non fosse altro che un’istituzione utilizzata dalla Chiesa per spaventare i credenti. Pur non credendo al Diavolo, egli scelse di raffigurarlo per puro interesse pittorico insieme ad altri soggetti che stimolavano la sua fantasia quali le streghe, i sogni e i fumetti.
È interessante notare che il non credere alle entità infere e nella possessione diabolica, considerava, infatti, l’Inferno come un tormento interiore e la possessione una manifestazione di turbe psichiche, non pregiudicava il fatto che credesse nel satanismo come fenomeno storico. L’analisi dell’evoluzione del culto di Satana, dal medioevo a oggi,  lo affascinava soprattutto nel suo aspetto di opposizione al potere costituito.
ogni volta che Alessandri  veniva interrogato sull’origine o l’esistenza del satanismo rispondeva in maniera molto scettica. Come egli stesso affermò (22), dopo anni di esperimenti e di studi  sull’occulto giunse alla conclusione che, benché una mente bene allenata potesse incidere su altre da lui definite inferiori, l’idea che i demoni si mostrassero se evocati era da ritenersi assurda. Ciò non significa che rifiutasse a priori tutte le manifestazioni non spiegabili scientificamente, ma piuttosto sottolinea quanto seriamente si dedicasse alla ricerca nel campo dell’inspiegabile. Alessandri riteneva possibili alcuni fatti, primo tra tutti la telepatia. Con tale termine, egli non intendeva la capacità di trasmettere pensieri ma piuttosto sensazioni. Quest’idea, comune nella cultura lamaista, riflette un aspetto del suo rapporto con il sacro, troppo spesso dimenticato. Egli, infatti, si definiva in parte cristiano e in parte buddhista. Con questo termine Alessandri si riferiva al buddhismo Mahayana di cui condivideva alcune idee, quali ad esempio l’aspetto caritatevole.

 Com’è stato detto in precedenza, ad un certo punto della sua esistenza, il pittore decise di vendere quasi tutta l’oggettistica legata al mondo dell’esoterismo occidentale. I proventi di queste vendite, spesso, servivano per acquistare statue ed oggetti tibetani. Con gli anni la sua collezione di oggetti, che in seguito alla sua morte fu in parte smembrata, divenne una delle più ricche d’Europa.
Com’è stato sottolineato all’inizio del capitolo, per comprendere pienamente le  opere dell’artista è necessario considerare il suo modo di approcciarsi alle tematiche sacre. Un aspetto poco conosciuto, a causa della scarsità di fonti, di questo rapporto è quello legato alla Massoneria. Alessandri, come ricordato in precedenza, fu rifiutato dal G.O.I., probabilmente a causa della  nomea che lo accompagnava. Egli entrò comunque in un ordine massonico nel quale rimase fino alla fine dei suoi giorni, più precisamente nell' A.L.A.M. . La sua appartenenza a quest'ordine è stata confermata da persone che gli furono accanto per molti anni ma che preferiscono rimanere anonime. Se questo non bastasse alcuni dettagli  sembrano confermare la sua appartenenza a questa osservanza.  Una parziale conferma é data dal contributo prestato da Alessandri per un volume pubblicato per i membri di una loggia torinese Casa Massonica della Serenissima Gran Loggia Nazionale degli A.L.A.M. allo Zenith di Torino, presso il Centro Culturale “Il Nunzio”di via Rossini 14  . Il titolo del volume è Al Femminile (23) e di esso vennero pubblicate cinquecento copie riservate ai fratelli e alle sorelle della loggia. Al suo interno sono raccolti una serie di saggi aventi come oggetto la figura femminile e i rapporti con la mistica attraverso i secoli, intervallati da alcune Bambole di Alessandri, che disegnò anche la copertina del volume. Oltre a questo particolare, già di per se alquanto indicativo è da sottolinearsi il fatto che Alessandri, da sempre interessato allo studio dell'esoterismo, si rivolse al rito scozzese, sicuramente dedito ad un maggiore studio di tale materia.

 Con il passare degli anni la fama ereditata cominciò a stancare Alessandri fatto dimostrato, da numerose interviste in cui ribadiva la sua estraneità all'adorazione del maligno. È possibile ravvisare un diverso approccio nei confronti dell'occulto anche dalla produzione artistica relativa agli anni 80 e 90 quando Alessandri dipinse le opere denominate “I Posti”. Se in passato i riferimenti al mondo dell'occulto erano rappresentati fedelmente e con un alone di rispetto, in questa raccolta è evidente la volontà di non prendersi troppo sul serio. Ne “I Posti” compaiono personaggi e simboli occulti spesso inseriti in contesti grotteschi. È il caso, ad esempio di Aleister Crowley.  È interessante notare che un quadro di Alessandri fu scelto per la copertina dell’edizione italiana di un romanzo di Crowley. Il libro in questione è “La figlia della Luna” (24), testo che fece sì che il pittore torinese fosse ricollegato all’occultista per molto tempo. È probabile che Alessandri scelse, ironicamente, di raffigurarlo nei suoi quadri per beffarsi di chi lo considerava un suo adepto, fatto in parte confermato dall’espressione caricaturale disegnata sul volto dell’occultista e dalla maglia con su scritto 666. in un altra opera, Crowley è ritratto insieme a quelli che Alessandri definisce come i rappresentanti del male sulla terra, nella fattispecie Hitler, Rasputin, Stalin e il capro di Mandes.

 È interessante sottolineare quanto Alessandri fosse lontano dall'essere il effettivamente legato a pratiche rivolte al male. Profondamente Cattolico, grande fedele di Padre Pio e di Madre Teresa di Calcutta, donava parte del ricavato delle sue opere a 14 enti caritatevoli differenti. Queste donazioni, che consistevano nel 25% del ricavato della vendita di ogni quadro, avvenivano spesso prima di ricevere il compenso per l'opera venduta. Secondo Alessandri, che per versare queste quote si trovava spesso in ristrettezze economiche, ciò che donava gli sarebbe tornato indietro moltiplicato, quasi fosse una sorta di ricompensa karmica, cosa che, a detta di amici e conoscenti, spesso avveniva. Alla base di questa pratica si può ravvisare un ragionamento che può essere definito magico, il fatto che tutto ciò che viene ottenuto per mezzo della magia debba essere ripagato a prescindere dal risultato.