Pianta erbacea annuale costituita da uno stelo che rapidamente si
ramifica in altri steli striscianti sul terreno, lunghi fino ad alcuni
metri, muniti di viticci. Le radici sono molto sviluppate soprattutto in
superficie ma anche in profondità. Le foglie sono grandi, spicciolate,
con lembo profondamente lobato, di colore verde grigiastro, tormentose.
Di norma la pianta di cocomero è monoica, ossia porta fiori
maschili e femminili separati, anche se non mancano casi di varietà
andromonoiche con fiori maschili e fiori fertili ermafroditi. I fiori
maschili compaiono per primi e superano in numero quelli femminili in un
rapporto di 7:1, l’impollinazione è entomofila (api) e l’allogamia è la
regola, dopo 40-50 giorni dalla fecondazione i frutti raggiungono la
maturazione.
Il frutto del cocomero è un peponide in cui epicarpo, mesocarpo ed
endocarpo sono saldati insieme, in esso si distingue la “buccia”,
esternamente liscia e coriacea, e la “polpa” che riempie totalmente il
frutto e nella quale sono immersi numerosi semi appiattiti, del peso di
35-100 mg, che in certi paesi vengono salati, tostati e consumati come
“snack”.
L’aspetto, la forma e le dimensioni dei frutti sono assai
variabili con la varietà e le condizioni di coltura: il peso di un
frutto varia da 2 a 15 Kg, la forma è sferica o allungata, il colore
esterno è verde-chiaro, verde scuro o con striature dei due colori, la
polpa è generalmente rossa, ma esistono anche tipi a polpa gialla o
bianca.
Il cocomero è una buona coltura da rinnovo che, però, non
dovrebbe ritornare sullo stesso terreno prima di 4-5 anni per ridurre i
rischi d’attacchi parassitari.
Esige lavorazioni profonde, da eseguire per tempo nei terreni argillosi, e buon affinamento del terreno.
La concimazione prevede, in assenza di letame, la somministrazione
di 120-180 Kg/ha d’azoto distribuito parte alla semina e parte in
copertura all’allungamento dei fusti, 80-100 Kg/ha di P2O5 e 100-150
Kg/ha di K2O, quando necessario.
L’impianto si fa con semina diretta in campo o con trapianto di
piantine allevate in fitocella, il primo metodo è quello che si adotta
sia per la coltura in pien’aria sia per la coltura forzata, il secondo
solo per la coltura forzata per anticipare ulteriormente il momento
della raccolta.
Un sistema di semina molto usato è di seminare vicini 4-5 semi per
poi diradare le piantine nate lasciandone 2 per postarella.
Dato il portamento strisciante e la lunghezza degli steli il sesto
d’impianto è alquanto largo: molto comune per le varietà tradizionali a
grande sviluppo è quello di 2-3 m tra le file e 1,5-2 m tra le
postarelle, in modo da realizzare una fittezza di 0,3-0,5 piante a mq,
con varietà nuove a frutto piuttosto piccolo la fittezza può essere
alquanto superiore, realizzata, ad esempio, distanziando di 1 metro per 1
metro le postarelle.
Nel caso di coltura pacciamata il film plastico trasparente viene
steso dopo la semina e, giunto il momento, il diradamento si esegue
attraverso tagli opportunamente fatti sul film.
La quantità di seme necessaria è di 3-5 Kg/ha.
Il controllo delle infestanti nelle colture in pien’aria si fa con
ripetute sarchiature finché lo sviluppo della coltura lo consente, ma
praticabile è il diserbo con prodotti adatti all’applicazione di
pre-semina, pre-emergenza o post-emergenza. Nel caso di pacciamatura con
film trasparente il diserbo va fatto prima dell’applicazione della
copertura.
Alla comparsa della 4°-5° foglia si usa cimare il tralcio per
favorire l’emissione di getti ascellari dai quali ottenere più frutti
che, comunque, non dovrebbero essere più di 3-4 per pianta. Oltre questo
numero è opportuno un loro diradamento. Quando il costo della
manodopera lo consente i frutti che hanno raggiunto il chilo di peso,
circa, vengono sollevati dal contatto diretto del terreno interponendo
tra loro e il suolo paglia o altro materiale, inoltre, per ottenere
frutti di forma più regolare e con una più uniforme maturazione, si usa
ruotarli periodicamente.
Per questa coltura non si può prescindere dall’irrigazione,
specialmente quando il cocomero è stato trapiantato (per la minore
profondità del suo apparato radicale). Il massimo fabbisogno in acqua si
ha dall’allegagione dei fiori all’ingrossamento dei frutti.
All’approssimarsi della raccolta l’irrigazione va sospesa per favorire
la concentrazione degli zuccheri nei frutti.
Nel caso di coltura pacciamata l’irrigazione si fa mediante
manichette forate o ali gocciolanti che vengono piazzate sul terreno
prima di stendere la copertura.