ATTENZIONE, SI TRATTA DI UN'IMMAGINE INGRANDITA, PER FARE VEDERE
IL PIU' POSSIBILE I DETTAGLI DELL'OGGETTO: LE DIMENSIONI REALI
SONO PIU' PICCOLE E SONO RIPORTATE NELLA DESCRIZIONE DELL'OGGETTO
IN MODO PRECISO ED INEQUIVOCABILE: AL MEZZO CENTIMETRO!!!
DIDASCALIA:
................... OR TU LA MENTE INNALZA,
CH'IO QUEL CHE I SENSI TUOI TROPPO SORPASSA,
COME FIA MEGLIO, CERCHERO' RITRARTI
LIBRO V, v. 724 - 726.
AUTORE: Gustave Doré.
* RIPORTO INTEGRALMENTE IL LIBRO V DELL'OPERA, A SCOPO DIDATTICO-DIVULGATIVO.
CHI NON E' INTERESSATO A LEGGERE IL POEMA, PUO' SALTARE I VERSI E LEGGERE LA DESCRIZIONE DELLA XILOGRAFIA.
Allo spuntar del giorno Eva racconta ad Adamo un sogno che l’ha turbata nella scorsa notte. Egli, benché lo ascolti con dispiacere, pur la consola; e quindi escono ambedue a prender cura del giardino. Loro cantico mattutino sulla soglia dell’albergo. Dio per tôrre all’uomo ogni scusa, manda Rafaello ad ammonirlo di non partirsi dall’ubbidienza, di far buon uso della sua libertà e di stare in guardia contro il suo nimico; a scoprirgli in fine quanto può essergli utile di sapere. Rafaelo scende nel paradiso. Sua comparsa. Adamo lo scorge di lontano, gli va incontro e lo conduce alla sua dimora, ove lo invita al suo pranzo. Rafaelo eseguisce gli ordini avuti, avverte Adamo del suo stato e del suo nemico e gli espone chi questi sia: gli narra il principio e la cagione della guerra avvenuta in cielo e come Satáno strascinò seco le sue regioni verso la parte Aquilonare e le spinse a ribellarsi, eccettuato il solo Abdiello, zelante Serafino che disputa contro di lui e lo abbandona.
I rosei passi per le piagge Eoe Inoltrava l’Aurora, e ’l verde grembo Alla terra spargea d’indiche perle Quando col giorno uso a levarsi Adamo 5Si risvegliò. Dell’aere al par leggiero Era il suo sonno, da temprati e puri Cibi nudrito, e sol bastava a sciorlo De’ fumanti ruscelli il mormorìo, Il tremolar degli arboscelli scossi 10Dall’aura mattutina e ’l garrir lieto De’ vispi augei che d’ogni ramo uscìa. Non desta ancor con maraviglia ei mira Eva, scomposta il crin, le gote accesa, Argomento di torbido riposo; 15E appoggiato sul cubito, con guardi D’amore ardenti sovra lei pendea Fiso in quella beltà che, vegli o dorma, Spira ognor nuove grazie. Indi la mano Mollemente prendendole, con voce 20Soave, qual di Zefiro è il susurro, Sul sen di Flora, bisbigliolle: Sorgi, Sposa, amor mio, mio bene, ultimo dono E ’l più caro del ciel; svegliati, o sempre Nuovo diletto mio: splende il mattino, 25C’invita il fresco campo, e l’ora destra Noi perdiam d’osservar come le piante Da noi culte germoglino, e s’ingemmi Quel boschetto vaghissimo de’ cedri; Come la mirra e ’l balsamo distilli, 30Di quai color la terra e ’l ciel si pinga, E come l’ape su pe’ fior novelli Si posi e sugga il liquido tesoro. A que’ bisbigli ella destossi, e vôlti In Adam gli occhi paurosi, al seno 35Lo strinse e disse: O solo in cui riposo Trovano i miei pensier, mia gloria e mia Felicità, con qual piacer riveggo Il tuo sembiante e la risorta aurora! Chè questa notte (ah! simil notte unquanco 40Non trascorsi finor) sognai, se pure Un sogno fu, non già, qual spesso io soglio, Di te, dell’opre del passato giorno, O di quelle che andiam pel nuovo sole Divisando fra noi, ma un torbo e tetro 45Sogno fu il mio, qual non s’offerse prima Al mio spirto giammai. Presso l’orecchio Una voce gentil (la tua mi parve) Fuori a diporto m’invitò: Tu dormi, Eva? diceami quella voce; ah! vieni: 50Piacevol, fresca, taciturna è l’ora, Se non che il vigil gorgheggiante augello Rompe il silenzio della notte e sparge Più dolci all’aure i suoi sospir d’amore. Più chiaro il lume suo versa dal pieno 55Orbe la luna e vagamente ombreggia La faccia delle cose. A che sì bella Vista, se alcun non la riguarda? Il cielo Con tutti gli occhi suoi perchè si veglia Se non per mirar te, che l’amor sei 60Della natura tutta, e ovunque volgi L’almo degli occhi tuoi fulgór sereno, Desìo, diletto e maraviglia inspiri? Ratta io mi levo a quella voce, come Fosse la tua, ma te non trovo, e i passi 65Volgendo a ricercarti, mi parea Soletta e dubitosa andar per vie Che d’improvviso guidanmi alla pianta Del vietato Saper; bella appariva All’avvinto pensier, più bella assai 70Che non m’appar nel dì: mentre mirando La sto meravigliata, ecco mi sembra Veder a lei vicino un che all’aspetto Color somiglia ed alle gemin’ali Che noi veggiam dal ciel venir qui spesso. 75D’ambrosia le sue chiome eran stillanti, E su quell’arbor fise anch’ei tenendo Le desïose luci: O vaga pianta, Dicea, di frutti sovraccarca, or come D’alleggerirti il peso alcun non degna, 80Non Dio, non uomo, e l’alma tua dolcezza Assaporar? Così spregiato e vile Dunqu’è il Saper? qual mai divieto è questo Se non quel dell’invidia? Eh, lo divieti Chiunque vuolsi; il sommo ben che m’offri, 85Arbor gentile, alcun non fia che a lungo Più mi ritardi. E perchè qui locato Saresti tu? Ciò detto, ei non ristassi, Stende l’ardita mano, il frutto spicca, L’ammira, il gusta. A quel parlar audace 90Cui l’atto reo succede, un freddo orrore Tutte mi ricercò le vene e l’ossa; Ma quei gioioso ed esultante: Oh! disse, Frutto divin, per te medesmo dolce, Ma così colto ancor più dolce e solo 95Vietato, come appar, perchè di Numi Se’ proprio cibo, e perchè insiem possente Gli uomini in Numi a trasmutar tu sei! E perchè dato agli uomini non fora Divenir Dei? Quant’è più sparso il bene, 100Tant’ei più cresce e più d’onor n’acquista, Senz’alcun danno, l’amor suo. Deh! vieni, Eva leggiadra, angelica Eva, a parte Vienne tu pur: la tua felice sorte Più felice esser può, benchè più degna 105Esser tu non ne possa; il frutto gusta E sii fra’ Dei Diva tu ancor: la terra, No, tuo confin non sia: qual dato è a noi, Per gli eterei sentier tu pur ti leva, Ascendi al ciel, com’è tuo merto, e vedi 110Qual vita colassù vivon gli Dei, E quella vivi. In così dir, dappresso Ei mi si fece e presentommi parte Del frutto ch’avea côlto; infino al labbro Ei me lo sporse: quell’odor soave 115Di tal vivo desìo tutta m’accese Che del gustarlo (mi parea) non seppi Più rattenermi. Sulle nubi a volo Seco allor m’alzo immantenente, e stesa Veggo sotto di me l’immensa terra, 120Spettacol grande e vario! Io di sì strano Mio cangiamento, di cotant’altezza Ove mi trovo, attonita, confusa Rimango; a un tratto la mia guida perdo, E giù traboccar sembrami, ed in braccio 125Cado del sonno. Or ch’io son desta, oh quanta È la mia gioia in ritrovar che tutto Fu vano sogno! - Eva sì disse, e mesto Adam le rispondeva: - O di me stesso Immagine miglior, metà più cara, 130Tal sogno agitator del tuo riposo Non minor turbamento in me pur desta; Strano m’appar, non può piacermi, e temo Che sia figlio del mal. Ma no: che dissi? E d’onde il male? in te creata pura 135Niun male albergar può. M’ascolta: in noi Molte minori facoltà che serve Sono della Ragion quasi reina, Il Creatore ha posto, ed è primiera La Fantasia fra queste: ella di quanto 140Nei cinque si ritrae vigili sensi, Imagini raccoglie, aeree forme Che la Ragion dipoi congiunge o scevra, Onde quanto da noi s’afferma o niega, Quanto si crede o sa, l’origin prende. 145Quando posa natura, in sua privata Cella ricovra la Ragione, e allora L’imitatrice Fantasia sovente A contraffarla destasi, ma insieme Le antiche e nuove idee mal accoppiando, 150Vane chimere crea, prodigi e mostri. Di quanto noi nella trascorsa sera Insiem parlammo, in questo sogno parmi Le simiglianze rintracciar, ma invero Molto di strano evvi commisto ancora. 155Non t’attristar però: chè i rei pensieri Possono per le umane e dive menti Riprovati passar, nè macchia o biasmo Lasciarsi dietro: quel che tu dormendo Abborristi sognar, non mai, lo spero, 160Non mai tu desta acconsentir vorrai Di porre in opra. Dal tuo sen sbandisci Quindi ogni tema, ed ogni nube sgombra Da que’ begli occhi che sereni e lieti Esser solean più del mattin che spunta, 165Ed alla terra e al ciel sorride. Or vieni; Torniamo all’opra, fra i boschetti, i fonti E i freschi fior che dall’aperto seno Or t’offrono i più rari eletti odori, Di cui fer serbo nella notte. - Adamo 170Così conforta la leggiadra sposa Che si rincora, è ver, ma due vezzose Lagrimette cader lascia dagli occhi Tacitamente e le rasciuga tosto Co’ bei capelli: altre due care stille 175Che tremolanti le pendean dal ciglio, A suggere co’ baci ei tosto corse, Quai d’un cor puro grazïosi segni, Di bel rimorso e pio terror sublime, Così rasserenati il core e ’l volto 180S’inviano entrambi al prato, e dell’ombroso Arboreo tetto sulla soglia in pria L’aurora e ’l sole ammirano che sopra La fiammante quadriga, ancor a mezzo Nell’onde immersa i rugiadosi rai 185Vibrava a fior della terrestre faccia, E tutta l’ampia orïental pianura Di quel terren felice in vaga mostra Presentava allo sguardo. Indi, sul suolo Genuflessi ed umìli, al gran Fattore 190L’usato lor di mattutine preci E laudi offron tributo in vario stile; Stil, che senz’arte, immeditato e caldo Sol de’ voti del cor, pronto discorre Dalle lor labbra, or in faconda prosa, 195Or in sonanti armonïosi carmi, E non ha d’uopo di leùto o d’arpa Che gli accresca dolcezza. O grande, o eccelso, O fonte d’ogni bene, eterno Padre, (Eglino incominciaro) opre son queste 200Tutte della tua destra, è tuo lavoro Questa dell’universo immensa mole Mirabilmente bella. Oh! quanto dunque Più mirabil di lei sarai tu stesso, Tu sommo, tu ineffabile che siedi 205Tant’oltre a quelle sfere ove non giunge Il nostro infermo sguardo, e solo in queste Opre tue di quaggiù, quasi per nebbia, Trasparir lasci testimone un raggio Della suprema tua possa e bontade 210Ch’ogni confine, ogni pensier sorpassa! Di lui parlate, o voi figlie di luce, Voi, che meglio il potete, alate schiere D’eterei Spirti, a cui mirarlo è dato, Voi che lassù nel sempiterno giorno 215Gli alzate attorno al solio in lieto coro Inni di gioia e cantici d’amore. Unitevi, del cielo e della terra, Voi, creature tutte, e lui cantate D’ogni cosa principio e centro e fine. 220E tu dell’altre più lucente e vaga Stella che chiudi l’aureo stuol di tante Notturne faci e alla ridente aurora Di luminoso cerchio il crin coroni, Esaltalo in tua sfera or che rinasce 225Questo lieto del dì tenero albòre. O sol, che l’alma insieme e l’occhio sei Di questo vasto mondo, umile adora Lui che i raggi ti diede, e lui confessa Tuo Fattor, tuo Signor: di sua grandezza 230Quella ch’ei t’assegnò carriera eterna Suoni ovunque le glorie e quando spunti, E quando in mezzo al ciel t’ergi sublime, E quando in seno all’océan t’ascondi. Luna, che incontro al sol nascente or vai, 235Ed or ten scosti colle fisse stelle, Fisse nel lor veloce orbe rotante; E voi, cinque altri erranti astri sereni, Che non senz’armonia movete intorno Mistica danza, risonar le lodi 240Fate di lui che l’aurea luce fuori Chiamò dal sen della profonda notte. Aria, elementi, voi che prima prole Foste della natura, e nel perenne Vostro giro moltiplice mescete 245Tutto e nudrite, a lui gli omaggi ancora Nel cangiar vostro rinnovate sempre. E voi, nebbie e vapor, che grigi e foschi Dai monti uscite e dai fumanti laghi Finchè i villosi margini dipinti 250Non v’ha con l’oro de’ suoi raggi il sole, Voi pur rendete al sommo Fabro onore; E mentre il ciel di multiformi nubi V’alzate ad abbellir, mentre, disciolti In fresche piogge, gli assetati campi 255Scendete ad irrigare a lui porgete Nel sorger, nel cader le vostre lodi. Voi, venti, a cui dell’aere il vasto impero Egli divise, or ne’ soavi fiati, Or nei gagliardi, il santo nome sempre 260Risonate di lui. D’ossequio in segno Piegate le ondeggianti altere cime, O cedri, o pini: e voi, fontane, e voi, Limpidi mormorevoli ruscelli, Nel vostro dolce gorgogliar perenne 265Ripetete sue glorie. O tutte voi, Alme viventi, a celebrarlo unite Le vostre voci; e voi, canori augelli, Che il vol stendete alle celesti porte, Sulle vostr’ali e ne’ cocenti vostri 270Per ogni spiaggia ite a portarne il nome, Voi che guizzate in mar, voi che la terra Strisciate umíli o passeggiate alteri, Fatemi fè se nel mattin, se a sera D’iterar le sue lodi io cesso mai 275Ai monti ed alle valli, ai boschi e all’acque Che ripeterle meco omai pur sanno. Salve, o Signor del tutto. A noi deh! sempre Sii largo de’ tuoi beni: e se la notte Celato avesse e intorno a noi raccolto 280Alcun danno, alcun mal, com’or dilegua L’ombre il sorgente dì, tu lo disperdi. Così pregâr quegl’innocenti, e in core Tosto rinacque lor l’usata calma: Al campestre lavoro s’affrettan quindi 285Fra dolci rugiadette e freschi fiori, E dove piene di soverchio umore Stendon le piante e gli arboscelli i troppo Vaganti rami ad infecondi amplessi, Volgon la mano emendatrice, o all’olmo 290Sposan la vite che lo cinge intorno Colle nubili braccia ed i soavi Biondi grappoli suoi gli reca in dote, Ond’ei s’adorna le frondose chiome. In tai cure occupati, il Re del cielo 295Con pietà li riguarda; indi a sè chiama Rafaello, gentile, affabil Spirto, Quel desso ch’a Tobia si fe’ compagno E con securo nodo unillo a Sara, Vergine insieme e vedova di sette 300Nel dì delle lor nozze estinti sposi. - Già udisti, Rafael (l’Eterno disse), Che, fuggito d’Averno, il fier Satáno Pel tenebroso golfo in sulla terra Alfin è giunto, e in questa notte stessa 305Nel mezzo al Paradiso insidie e danni Contro quella tramò coppia innocente; E sai che in lei l’umana stirpe tutta Perder a un tempo il perfido disegna. Va dunque, e con Adam, qual suole amico 310Con altro amico, in compagnia trapassa Di questo giorno la metà là dove Fuggendo del meriggio i caldi rai Egli ricovra al rezzo, e si ristora Col cibo o col riposo. A lui favella 315Del ben che gode; i ricevuti doni Tu gli rammenta, e che riposta è in lui, Nel suo voler la sua felice sorte; Che il suo voler libero è appieno, e quindi Anco esposto a cangiarsi; ond’ei, fidando 320Troppo in se stesso, dal diritto calle L’orme non torca. Il suo periglio infine Non gli tacer, nè chi lo trama; digli Qual inimico, che testè dal cielo Cacciato fu, va macchinando come 325Altri con seco in simile ruina Da un lieto stato simile pur tragga, Per forza no (chè fia da me respinta), Ma per menzogna e inganno. Ei questo sappia Onde, se poscia volontario egli erra, 330In sua discolpa d’arrecar non pensi, Che fu sorpreso e inavvertito cadde. - Sì Dio parlò, sì di giustizia tutte Compiè le parti. Le ordinate cose Udite appena il messaggier, dal loco 335Dov’ei tra mille ardor celesti e mille Velato stava di stellanti vanni, Ratto e leggier spiccasi a vol: per tutto Ripartite le angeliche falangi. L’empirea via gli disgombraro: ei giugne 340Alla porta del ciel, che per sè stessa Sovra i cardini d’ôr rapida gira E innanzi a lui spalancasi; con tanto Magistero formolla il Fabro eterno! Colà non astro si frappone o nube 345Alla sua vista, ed il terrestre globo, Per quanto picciol sia, discerne a tanti Lucenti globi non disforme, e in esso Coronato di cedri alto levarsi Il bel giardin di Dio sovra ogni monte. 350Del gran Tosco così gl’industri vetri Mostran, ma certe men, le terre e i mari Nell’orbe della luna; e tal su i piani Liquidi dell’Egéo scorge il nocchiero Delo o Samo apparir qual nebulosa 355Lontana macchia. Indi all’ingiù si lancia L’Angel con volo rapido le vaste Onde äeree fendendo, e mondi e mondi Lasciasi addietro. Or colle ferme penne Striscia librato su i polari venti, 360Or del cedevol etra i campi sferza Col veloce remeggio. Alfin là giunto Dove sulle robuste ali s’innalza L’aquila altera, alle pennute torme Sembrar potea quel rinascente e solo 365Arabo augel, quando a locar nel tempio Luminoso del sol gli avanzi suoi Vola all’egizia Tebe. In sulla balza Orïental del paradiso calasi L’Angelo, ed in sua forma ivi si mostra. 370Vela ed ammanta le celesti membra Triplice coppia d’ali: esce la prima Dall’ampie spalle e gli ricopre il petto Con regal fregio d’ostro e d’oro: a’ fianchi Gli forma l’altra una stellata fascia 375Di molle aurea lanugine che splende Di superni color: sporge la terza D’ambo i talloni, e d’un’eterea azzurra Grana dipinta con piumosa maglia I piè gli adombra. Al favoloso figlio 380Di Maia ei stette somigliante, e scosse Le penne ch’esalaro un’ampia intorno Celestïal fragranza. Ogni drappello Degli Angeli che a guardia eran là posti, Tosto lo riconobbe, e al grado, all’alto 385Messaggio suo (chè apportator lo avvisa Di qualche alto messaggio) in piè si leva Di riverenza in segno. Egli trapassa Le fulgide lor tende e ’l piede inoltra Nel suol felice fra selvette amene 390Un odor soavissimo spiranti Di balsamo, di nardo e cassia e mirra; Larga, profusa ridondanza d’ogni Don della terra: chè ripiena e calda Di vigoría, di spirti ivi Natura 395Libere e sciolte d’ogni legge e modo Sue giovinette fantasie dispiega, Ed è nel suo disordine più bella. Venir per l’odorifera foresta Da lunge il vide Adam, che stava assiso 400Sulla soglia del suo fresco boschetto, Mentre a scaldare il più riposto grembo Della terra già il sole alto vibrava Dritti i suoi raggi, e più gagliardi e vivi Che Adam non avea d’uopo. Eva nel fondo 405Pel loro pranzo saporose frutta Apprestando sen gìa sull’ora usata, A sano gusto ed a verace voglia Soavi frutta che non fan men dolci Le nettaree bevande a lor frammiste 410Di grappoli, di bacche e latteo rivo. Adam la chiama e dice: - Eva, t’affretta, Vieni, vedi colà vêr l’Orïente Qual degno de’ tuoi sguardi illustre oggetto Fra quelle piante inverso noi s’avanza. 415Ei sembra un’altra scintillante aurora Che sul meriggio sorga: un qualche Grande Ci arreca, s’io non erro, ordin del cielo, E forse in questo dì vuol farci degni D’esser ospite nostro. Or vanne tosto, 420Arreca fuor quanto riposto serbi Ed abbondanza spargi, onde s’onori Il sublime stranier. Noi ben possiamo Lor doni ai donator rendere in parte, E largamente dar quel che concesso 425N’è così largamente. Il suo fecondo Sen qui schiude Natura, e quanto i suoi Tesor più spande, vie più ricca e bella Mostrasi, e largità così c’insegna. O Adamo (Eva risponde), o eletta parte 430Di sacra terra, in cui spirò l’Eterno Il soffio animatore, aver non giova Qui molto in serbo, u’ di mature frutta Sempre da’ rami sì gran copia pende. Io sol quelle riposi, a cui più grata 435E ferma polpa aggiugne il tempo e toglie Il soperchio d’umor. Ma ratta or vado E da ogni pianta ed arbuscello io voglio Tal’eletta raccor d’ogni più vago, Più saporoso e succulento pomo 440Ch’oggi in mirar tanta ricchezza il grande Nostr’ospite confessi aver Iddio Sparse qui sulla terra al par che in cielo Le grazie sue. - Così dicendo, il guardo Volge intorno sollecito e sen parte; 445E tutta intenta alle ospitali cure, Va fra sè divisando a qual s’appigli Scelta ed ordin migliore onde non sieno Mal misti e mal graditi i sapor varj, Ma più soave e dilicato all’uno 450L’altro succeda. Diligente scorre Per mezzo a tante piante, e ciò che l’alma Terra, feconda madre, entro le rive D’ambe l’Indie produce, o là nel Ponto, O sul punico lido, o dove un giorno 455Alcinöo regnò, tutto crescente In quel ricco giardin, ella raduna, Frutta d’ogni maniera, in liscia e molle, In scabra e dura scorza, e tutto quindi Con larga mano in sulla mensa ammonta. 460Uve odorate spreme e bacche elette, E bevande ne tempera e prepara Di soave sapore; un almo latte Dalle mandorle elice, e pure tazze Non le mancano all’uopo; indi la terra 465Sparge di rose e di squisiti odori Tolti a’ freschi arboscelli. Intanto il nostro Primo gran padre ad incontrar se n’esce L’ospite suo divin, nè d’altro è cinto Che de’ sommi suoi pregi: in lui medesmo 470La sua grandezza è tutta, assai diversa Dal vano fasto che circonda i regi, Quando di palafreni e servil turba Il gran corteggio oro-listato abbaglia Lo stolto vulgo e a bocca aperta il tiene. 475Senza timore alcun, ma pieno a un tempo Di riverenza, all’Angelo s’appressa Il primo padre, e, qual si debbe ad alma, Superïor natura, a lui s’inchina Profondamente in dolce aspetto e dice: 480- Celeste abitator (chè sol dal cielo Ponno venir sì nobili sembianze), Poichè lasciar quelle beate sedi Ti sei degnato e onorar queste, i tuoi Favori ah! compi ancor; con noi che soli 485Qui siamo e in don dal Creatore avemmo Questo largo terren, piacciati, assiso Di quel boschetto alla fresc’ombra lieta, Prender riposo e insiem gustar di quanto Più scelto a noi questo giardin comparte, 490Finchè dechini il sole e non sì vivi Spanda i suoi rai. - Sì, qui perciò ne venni (Amorevole e dolce a lui risponde L’Angelo allora), e tal creato, Adamo, Non fosti tu, nè tal soggiorno è questo 495Che possano i Celesti avere a sdegno Di visitarvi spesso. Or sotto l’ombre Del tuo boschetto andiamne pur, chè fino All’imbrunir del dì teco mi lice E giova dimorar. - Così dicendo, 500Nella silvestre loggia entrâr che tutta, Qual di Pomona pingesi l’albergo, Ridea vestita d’olezzanti fiori. Ignuda e sol di sè medesma adorna, Amabilmente grazïosa e vaga 505Più che silvestre ninfa e più di quella Favoleggiata Dea che in Ida vinse Le altre due di beltade e ’l pomo ottenne, Eva ad accôr l’ospite suo celeste In piè tosto levossi; uopo di velo 510Non ha; virtù la copre, e le sue gote Pensier non è che di rossore asperga. - Ave (le disse Rafael, divino Saluto ch’assai dopo udì pur anco Maria, riparatrice Eva seconda), 515Ave, o gran madre dell’uman lignaggio, Del cui fecondo grembo uscir dee prole Più numerosa mille volte e mille Delle soavi frutta onde sì carca Han questa mensa gli arbori di Dio. - 520Sorgea d’erbose zolle il largo desco Cinto all’intorno di muscosi seggi, E sovr’esso raccolta era d’autunno Ogni dovizia, ancor che là perenni Il ricco autunno e la stagion de’ fiori 525Si tengano per man. Parlando in pria Si stetter essi alquanto, e ’l primo nostro Padre sì cominciò: - Stranier celeste, Deh! questi doni di gustar ti piaccia. Quegli da cui discende ogni perfetto, 530Ogn’infinito ben, fuor della terra Per alimento e per diletto nostro Sorger li fe’: delle celesti essenze Son forse cibo insipido; ma questo Soltanto io so che comun padre a tutti 535È quei che li dispensa. Ingrato cibo (L’Angelo a lui risponde) esser non puote A puro Spirto quel ch’all’uomo, in parte Incorporeo pur anche, ei diede in dono, Ei le cui lodi sien cantate sempre. 540Il tuo corpo ebbe un’alma, e i nostri spirti Fur di sensi dotati; e se l’uom pensa Ed intende e ragiona e tanto s’erge Sull’incarco terren, l’Angelo ancora Scende a nudirsi. Ei vista e udito e tatto 545E gusto ha pur, siccome l’altro, e volge In sua propria sustanza il preso cibo, Quel ch’è corporeo in incorporeo: e sappi Che quanto fu creato ha d’uopo ancora Di sostegno e riparo. Il guardo gira 550Sugli elementi: dal men puro sempre Il più puro è nudrito; il mar riceve L’onde sue dalla terra, e terra e mare Nudriscon l’aere, e l’äer nutre quindi Gli eterei fuochi, di cui splende il cielo, 555E pria la bassa luna, ond’è che impressi Quei foschi segni nel suo volto stanno, Non purgati vapori e non ancora Conversi in sua sostanza. In simil guisa Dall’umido suo grembo anco la luna 560Agli alti globi il nodrimento invia, E ’l sol che luce all’Universo imparte, Riceve anch’esso d’umorosi esali Da tutte l’altre sfere ampia mercede E a lunghi sorsi l’oceán si bee. 565Ambrosie frutta a noi gli arbor di vita Ministrano lassuso e néttar puro L’uve celesti: d’ogni ramo e fronda, Allor che sorge a noi la nostra aurora, Stillan melliflui sughi, e il suol si copre 570Di rugiada e di manna ignote in terra: Pur qui sì varïati i doni suoi Ha l’alto Creator che a quei superni Non disconviensi il compararli, ed io Non sarò schivo dal gustarne. A mensa 575In così dir s’assise, e insiem con loro Entrò del pranzo a parte. Eva leggiadra D’almi liquori coronava intanto I ridondanti calici odorosi E ministrava ignuda. Oh del bel loco 580Degna innocenza! Ah! se terreno oggetto Destar potesse nei celesti petti Foco amoroso, di perdono allora Fatti gli avrìa tanta bellezza degni; Ma un purissimo amor dei divi Spirti 585Sol è la fiamma; ed era all’uomo ignota Gelosa cura allor, che poi divenne De’ tristi amanti un infernal martiro. Avean co’ cibi soddisfatta omai, Non gravata natura, allor che in seno 590(Così destro veggendo il tempo e il loco) Surse ad Adamo di saper desìo Le oltramondane cose e aver contezza Di lor che il cielo han per soggiorno, e tanto In grado e ’n possa egli innalzati vede 595Sopra di sè, di lor cui tanta parte Fe’ di sua luce Iddio. Quindi la voce All’empireo ministro ei così volge Accorta e rispettosa: - Oh! qual bontade, Tu che col gran Fattore insieme alberghi, 600Oggi hai mostro ver me! D’entrar ti piacque Sotto quest’umil tetto e gradir queste, Benchè indegne di te, terrestri frutta, Al par di que’ celesti almi conviti: Pur qual fra loro è paragone! - Un solo 605(L’Angel rispose) onnipossente Nume E, fu, fia sempre, da cui scende il tutto, E, se vizio nol guasta, a lui ritorna. Tutte perfette uscîr da lui le cose, Ed una in pria fu la materia tutta 610Che tante poscia e sì diverse forme Ebbe e sì varj di sostanza gradi, Varj gradi di vita in ciò che vive. Ma più affinata e spiritale e pura, Quanto a Dio più s’accosta o a Dio più tende, 615È ciascheduna cosa entro quel giro Che assegnato le fu. Per ordin lungo E ad ogni specie misurato aspira A farsi spirto il corpo. Esce più lieve Così da sua radice il verde stelo; 620Indi più tenui spuntano le frondi, Su cui più dilicato il fior s’innesta E dolci olezzi spande, e i frutti poscia, Fatti cibo dell’uomo, a gradi a gradi Della vita, dell’alma e della mente 625Servono e di ragion gli uffici vari; Doppia ragion che, argomentando, il vero Lenta rintraccia, o con un sol veloce Lucido sguardo lo contempla e scerne. Propria è dell’uom la prima, a noi concessa 630Più spesso è la seconda, e vario è il grado Lor, non la specie. Non stupirti adunque Se quel che Dio per voi buono discerse Io non rifiuto, ma, qual voi, lo volgo In mia propria sustanza. Un giorno forse 635Simili a noi voi pur sarete, e i nostri Più lievi cibi a vostra essenza allora Non si disconverran. Cangiati in spirti Col rivolger degli anni anco saranno I vostri corpi forse, e allor, qual noi, 640Sovr’ali snelle per l’eteree piagge Aggirarvi potrete, e a grado vostro Qui far soggiorno o negli empirei campi. Di meritar quella più lieta sorte Or sia vostro pensier, sommessi, fidi, 645Nell’amore immutabili del sommo Vostro padre e signore; e tutto intanto Il ben godete del presente stato, Non capaci di più. Cortese Spirto (A lui risponde Adamo), ospite amico, 650Di qual puro splendor le nostre menti Irradii col tuo dir! Come dal centro Alla circonferenza hai tutto mostro L’ordine di natura, onde per gradi, In contemplando le create cose, 655S’ascende al Creator! Ma perchè mai Que’ ricordi d’amarlo e quegli avvisi D’obbedirlo aggiungesti? Ah! dimmi, e come Mancar giammai d’ubbidïenza e amore Potremmo verso lui che fuor del limo 660Ci trasse e qui nel maggior colmo pose Di ciò che uman desìo può chieder mai? - Figlio del cielo e della terra (a lui L’Angel rispose), ascolta: a Dio tu devi La tua felicità: da te dipende 665Il serbarla però. Fisso nell’alma L’alto suo cenno ognor ti stia: riposta È in ciò tua sorte, e a ciò mirò l’avviso Che or or ti diedi. Ei ti creò perfetto, Immutabil non già; buono ei ti fece, 670Ma durar tale, in tua balìa lasciollo. Libero per natura è il tuo volere Nè di necessità sente o di fato Freno o giogo veruno: Iddio richiede Spontanei, non costretti i nostri omaggi, 675Nè grati in altra guisa esser gli ponno. E come un cor da fatal forza spinto Dar prova indubitabile potrìa D’obbedïenza e amor, se a lui non resta Del contrario la scelta? Io stesso e meco 680Tutta insiem l’oste angelica esultante Presso al trono di Dio, quel ben supremo Per merto sol d’obbedïenza e fede Serbammo già, siccome il vostro a voi Sol per tal mezzo or di serbare è dato. 685D’amarlo e di servirlo un dì noi pure O di lasciarlo appien liberi fummo, E l’esser buoni o rei fu nostra scelta. Quindi di noi gran parte a lui ribelle, Non ha molto, si fece e fu dal cielo 690Spinta nell’imo inferno. Ahi! da qual somma Felicitade in qual orrendo abisso Di sempiterna pena! - I detti tuoi, Mio divino maestro (Adam risponde), Di diletto maggior l’orecchie e ’l core 695M’empion che nella notte i dolci canti De’ Cherubini a questi colli intorno. Io ben sapea che il voler nostro e l’opre Fece libere Iddio, ma pur in mente Sempre mi stette e sta fermo il pensiero 700Che del nostro Fattor scordar l’amore, Scordar la nostra obbedïenza mai, No, non potremo, e quel sì giusto e solo Comando ch’ei ci fe’. Ma quanto in cielo Pur or dicesti che addivenne, un qualche 705Dubbio in me desta e maggior brama ancora D’udirne raccontar l’istoria tutta, Ove a te non incresca. Ella esser dee Al certo strana e di profonda e sacra Attenzïon ben degna. Ancor gran parte 710Riman del dì: chè una metà pur ora Di suo viaggio ha il sol fornita, e l’altra Nel gran cerchio del ciel comincia appunto. - Egli sì prega; Rafael consente A sua dimanda, e dopo breve posa 715Così comincia: - Luttuosa, acerba, Difficil storia a raccontar m’inviti, O degli uomini padre. Ai sensi umani Come possibil fia pinger le gesta D’Angeli guerreggianti, e senz’affanno 720Di tanti spirti glorïosi un tempo Narrar la miserabile ruina? D’un altro mondo disvelar gli arcani Concesso mi sarà? Ma sì: per tuo Frutto ciò lice. Or tu la mente innalza, 725Ch’io quel che i sensi tuoi troppo sorpassa, Come fia meglio, cercherò ritrarti Sotto corporee forme. Ombra ed imago È la terra del cielo, e più di quello Che forse credi, all’un l’altra somiglia. 730Dalle tenebre antiche emerso ancora Questo mondo non era, e dove or ruota Il ciel stellante, ove la terra posa Sul proprio centro equilibrata, il torbo Caosse infigurabile regnava, 735Quand’un giorno (chè il tempo in grembo ancora A eternità, d’ogni durabil cosa, Se il moto insiem supponi, è la misura), Un giorno, qual lassù lo adduce il grande Anno celeste, dai confini estremi 740Di tutto il ciel, l’angelic’oste tutta Per cenno dell’Eterno innanzi al trono Si raccolse di lui: fulgide schiere Senza fin, senza numero. Ben cento E cento mila luminose insegne 745Ondeggiando per l’aere, i varj gradi Segnan, gli ordini varj e i varj duci; O riccamente nel lor grembo inteste Portan di santo amor, d’ardente zelo Alte memorie. Allor che tutti in mille 750E mille giri d’un’ampiezza immensa, Cerchio entro cerchio, stettero, l’eterno Padre, al cui fianco d’egual gioia in seno Sedeva il Figlio, in mezzo a lor, dal monte Che fiamme esala e ’l vertice sublime 755Tra fulgóre ineffabile nasconde, Così parlò: - Figli di luce, o Troni, Principati, Virtù, Scettri, Possanze. Angeli tutti, il mio decreto udite, Il mio decreto irrevocabil. Oggi 760Io generai Quei che dichiaro il mio Unico Figlio; oggi il sacrai su questa Santa montagna, e alla mia destra assiso Ora il mirate: io lo destino vostro Duce, e giurato ho pel mio nume stesso 765Che ogni ginocchio in cielo a lui s’inchini, Ch’egli tenga mie veci, e il riconosca Suo signore ciascun. Tutti congiunti In pace eterna ed in eterna gioia Sotto una stessa indivisibil legge 770Voi tutti siete. Me medesmo oltraggia Chi lui disubbidisce, e lunge spinto Dalla beante visïon divina Nel buio esterïor quel giorno ei fia, Nei golfi delle tenebre più cupi, 775A gemer senza fine e senza speme, Della giusta ira mia vittima eterna. - Così parlò l’Onnipossente, e i suoi Detti con lieto plauso ognun accolse, Ma ognun non fu ne’ plausi suoi sincero. 780Tutto si spese al sacro monte intorno Quel memorabil dì, qual è costume Spender i più solenni, in canti e in danze, Mistiche danze ai regolati errori Rassomiglianti dell’eteree sfere 785Mosse con ordin certo e stabil legge, Che in lor diverse ed intrecciate e sempre Pur medesime rote un sì soave Destan concento che l’orecchia stessa Di Dio n’ascolta con diletto il suono. 790Già la sera appressava (abbiam noi pure Sera e mattino a far più vario e vago Del ciel l’aspetto), e tutti insiem dai lieti Balli a solenne splendido convito Ci rivolgemmo: ad ogni cerchio intorno 795Fur le mense imbandite e colme a un tratto Delle angeliche dapi; in coppe d’oro Di perla e d’adamante il néttar scorre Delizïoso in liquidi rubini, Singolar frutto del celeste suolo. 800Coronati di fior, su i fior distesi Beviam vita immortal, gioia ed amore In dolce fratellanza. Eccesso alcuno Esser non può lassù, ma sol la piena Misura del piacere; e a larga mano 805Versando le sue grazie il Re del cielo Gode al nostro goder. Già dal divino Monte, onde alterna esce la luce e l’ombra, S’alza la notte in vaporoso velo, Che con dolce imbrunir tempra soltanto 810Quell’immenso splendor, nè mai più scura Ella sorge lassù. Già tutti i lumi (Tranne quelli di Dio che veglian sempre), Una rosea rugiada, alma, soave, Al sonno invita. Sopra il largo piano, 815Più largo assai che non saria di questo Terrestre globo l’appianata massa (Tai son gli atrj di Dio!), lunghesso i vivi Ruscei che irrigan gli arbori di vita, Si distendon le angeliche falangi 820In varj campi, in ordin vago: sorge Di padiglioni e tende immensa fila In un momento, ove del sonno in braccio Al molle susurrar di fresche aurette S’abbandona ciascun: veglian soltanto 825Quei che in loro vicenda intorno al soglio Alternano di Dio la intera notte Inni melodïosi. Era pur desto, Ma non così, Satán (con questo nome Or tu l’appella, chè il suo primo in cielo 830Perdè per sempre). Tra i più grandi Spirti Onorato lassù, se non il primo, Ei sedeva in favore, in grado e ’n possa: Pur gonfio il cor d’un cieco invido orgoglio Contro il Figlio di Dio, quando dal sommo 835Suo padre il vide a tanta gloria alzato. Credè scema sua luce, e quella vista Tollerar non potéo. Covando in seno Quindi il dispetto e i suoi disegni iniqui, A mezzo il corso della notte, allora 840Ch’è più del sonno e del silenzio amica, Indi sloggiar con le sue schiere tutte Egli dispose, e dell’Eterno il trono Privo lasciar di riverenza e onore. Il primier dopo sè dal sonno ei scuote 845E sì gli parla con sommessa voce: - Dolce compagno, ah, dormi tu? Qual sonno Ti può chiuder le ciglia? E non rimembri Quel decreto che ier da’ labbri uscìo Di chi può tutto in cielo? I tuoi pensieri 850Tu aprire a me solevi e aprirti i miei Tutti soleva io pure: un’alma sola Noi vegliando eravamo, e sì diversi Or siam? Tranquillo tu riposi, ed io Veglio nel duol! Quai nuove leggi a noi 855Imposte sien, tu ’l vedi; e nuove leggi Ponno in chi serve ancor nuovi pensieri E nuovi suscitar consigli e inchieste Sull’incerto avvenire. In questo loco Più dir non è sicuro. I primi Capi 860Di nostre immense schiere or tu raduna, E annunzia lor che per divin comando. Pria che la notte il nubiloso velo Abbia raccolto, io con spediti vanni Al nativo Aquilon deggio affrettarmi 865Con ogni mio drappel: di’ lor ch’io debbo Apparecchiar colà gli onor dovuti Al gran Messìa, nostro Sovran novello, E ricever suoi cenni, e ch’egli a tutte Le legïoni in trionfante aspetto 870Tosto mostrarsi e dettar leggi intende. Così parlò l’iniquo e ’l suo veleno Nell’improvvido petto all’altro infuse, Che incontanente e molti insieme appella O ad un ad uno i varj Capi, e intíma, 875Come Satán l’ammaestrò, che il grande Gerarchico stendardo indi esser mosso Dee per sovrano impero anzi che splenda Il nuovo dì; la suggerita causa Soggiunge, ambigui motti ad arte sparge 880E semi di livore, onde lor fede Quanta sia scorga, o la corrompa. Alcuno Non osò dubitar; tutti fur pronti Il segno usato e l’ordine supremo Del lor duce a seguir; sì grande in cielo 885Era il suo nome e ’l grado, e tanto impero Avea su lor quel suo raggiante aspetto Simile all’astro del mattin che guida Dell’altre stelle il coro! Ei così trasse La terza parte dell’empiree squadre 890Sull’orme sue. Ma l’occhio eterno intanto Dal sacro monte suo, di mezzo al giro, Dell’auree lampe a lui d’intorno ardenti, Senza lo cui splendore il tutto vede E nel più cupo de’ pensier s’interna, 895Scoppiar la rea sedizïosa fiamma Avea già scorto e che tra i figli stesa S’era già del mattino, e quali e quante Turbe sorgeano al suo voler rubelli: E all’unico suo Figlio in dolce aspetto 900Così favella: - O Figlio, eterno erede Di tutto il mio poter, Figlio in cui piena Tutta la luce di mia gloria splende, Or ogni dubbio dileguar si dee Di nostra onnipotenza, e quai sien l’armi 905Che illesi qui terran per sempre i nostri D’impero e deità diritti eterni, Mostrare a tutto il ciel. Tu ’l vedi, un empio Nemico è insorto che per tutto il vasto Aquilonar paese alzar disegna 910Suo trono al nostro egual; nè di ciò pago, Qual sia nostra ragione e nostra possa Vuol pugnando provar. Contro l’audace Or noi volgiam quanti ci restan fidi, E senza indugio il santuario nostro, 915La gloria, i dritti e questo monte sacro Si difenda e assecuri. - Ei tacque, e ’l Figlio Con placido sembiante, onde partìa Un vivo inesplicabile fulgóre, Così rispose: - I tuoi nemici a scherno, 920Lor vane trame e lor consigli stolti Ben a ragion tu prendi, eccelso Padre; Ma l’odio lor più luminosa e bella Farà mia gloria e quel regale impero Che tu mi desti, ond’io confonda e atterri 925Un così folle orgoglio; e ben l’evento Proverallo a quegli empj. - Ei disse. Intanto Molto lontano in sulle rapid’ali Il perfido Satáno era trascorso Colle sue schiere; innumerabil oste, 930Quai gli astri della notte o quai dell’alba Le rugiadose stille rilucenti A’ rai del sol sopr’ogni fronda e fiore. Vaste provincie, regïoni immense Che Serafini, e Podestadi e Troni 935In lor triplici gradi hanno in governo, Quell’iniquo varcò; contrade, a cui Se paragoni questa terra intera, È assai minore, o Adam, che il tuo giardino Appo la terra stessa e ’l mare, in vasto 940E lungo pian dal globo lor distesi. D’Aquilon ne’ confini ei giunge alfine Ed al suo regio albergo. In arduo giogo, Simile a monte sovrapposto a monte, Folgoreggiava coll’eccelse moli 945Di torri e di piramidi che tratte Furon da rocce d’adamante e d’oro, Il gran palagio di Satán (con questo Nome soltanto in tuo linguaggio io posso Chiamar quella struttura). Ei, che l’Eterno 950In tutto ambiva d’emular, quel loco, Del monte a guisa ove del cielo in faccia Fu Messia coronato il divin Figlio, Volle nomar dell’Adunanza il monte, Dacchè colà tutti raccolti i suoi 955Ebbe con sue menzogne. Ivi s’arresta Il traditore e avviluppando il vero Così lor parla: - O Prenci, o Regi, o Troni, O Possanze, o Virtù (se omai non sono Un vôto suon questi pomposi nomi), 960Per supremo decreto un signor nuovo, Ch’è a voi già noto, ed unto re s’appella, In sè riduce ogni potere e troppo La nostra gloria oscura in ver. Per lui Or qui, solo per lui, con ratti passi 965V’ho tratti in questa notte e insiem raccolti, E qui d’udire il vostro avviso io chieggo Con quali onor fia meglio e con qual pompa Novella ancor quest’altro Sir che viene Le nostre a rimirar ginocchia inchine 970Or per la prima volta... Omaggio indegno! Vil bassamento! Assai non era ed anzi Troppo non era il tributarlo ad uno, Ch’ora a due lo dovremo, a lui dovremlo Ed all’imagin sua? soffrir cotanto 975Come si può? Ma se miglior consiglio Le nostre menti ergesse, e questo giogo Scuoter, spezzar alfin... Voi dunque il collo Curvar scegliete? le ginocchia a terra Riverenti piegar? No, s’io m’affido 980Di conoscervi bene, o se appien voi Conoscete voi stessi: in ciel nascemmo Figli del ciel che innanzi a noi niun tenne In suo dominio, e se non tutti eguali Siam qui, siam non perciò liberi tutti, 985E liberi del par; chè ordini e gradi Non pugnan già con libertà, ma insieme Ben si confan. Con qual ragione alzarsi Altri può dunque in assoluto Sire Sopra color che a lui son pari in dritto 990E pari in libertà, sebbene in possa E in altezza di grado a lui minori? Perchè impor leggi a chi, da leggi sciolto, Pur mai non lascia il retto calle? E il Figlio, Il Figlio ancor, l’imagin sua, da noi 995Or culto avrà, fia Signor nostro, ad onta Di quegli eccelsi titoli che segno D’impero son, non di servaggio, e i nostri Ci rammentan pur sempre alti destini? Così parlava quel superbo, e muti 1000Tutti l’udîr fin qui, quando levossi Dal suo seggio Abdïel, di cui null’altro Più venerava dell’Eterno i cenni E n’era pronto esecutore. Ei tutto Di zelo avvampa, e con severo aspetto 1005Così di quel furor l’impeto affronta: - Oh falsi, audaci, scellerati detti! Oh bestemmie che in cielo orecchia alcuna Non mai s’attese d’ascoltar! E meno Da te, ingrato, da te che tanto fosti 1010Sopra i tuoi pari sollevato! E l’empio Tuo labbro quel giustissimo decreto Osò biasmar di Dio che regio scettro Ha dato al Figlio, e vuol che a lui s’inchini, Come a sovran legittimo signore 1015Ogni ginocchio in ciel? Tu chiami ingiusto Che un egual su gli eguali abbia l’impero, E dritti alleghi e libertà discuti: Ma chi se’ tu ch’osi impor leggi a Dio, A quel Dio che ti fe’ quello che sei, 1020A quel Dio che creò tutte del cielo, Come a lui piacque, le Possanze, e certi Confini a lor prescrisse? A noi per prova Palese è pur quanto benigno, e quanto Del nostro ben, del nostro onor geloso 1025Sempre egli sia, quanto a scemarli avverso. Ed or che sotto un capo insieme stretti Ci vuol egli vie più, forse non mira Il nostro ad innalzar felice stato? Ma ingiusto siasi pur che un egual regni 1030Sopra gli eguali suoi, vorresti adunque Tu te medesmo, ancor che illustre e grande, O tutto ancora de’ celesti Spirti L’unito merto a quell’eccelso Figlio Agguagliar dunque? al Figlio suo, per cui, 1035Come per Verbo, egli creò le cose Tutte e te stesso e queste immense schiere Di tanta luce incoronate, Troni, Principati, Virtù, Scettri e Possanze? No, questo nuovo regno un raggio solo 1040Non toglie a noi dell’alta gloria nostra, Ch’anzi più chiara splende or ch’Ei diviene, Benchè Signor, del nostro numer uno. Son nostre leggi le sue leggi, e tutto L’onor ch’a lui si rende, a noi ritorna. 1045Cessa dall’empio tuo furor; rimanti Dal tentar gli altri, e l’adirato Padre A placar vola e l’adirato Figlio, Finchè concesso d’ottener perdono T’è forse il tempo. - Fervido parlava 1050Abdïello così, ma niun seconda Il zelo suo, che intempestivo e strano A tutti sembra. Di ciò lieto allora E altero più che mai, Satán soggiunge: - Creati adunque fummo, e ’l Padre al Figlio 1055Diè di crearci incarco? Oh nuova invero Pellegrina scoverta! e dond’hai questa Dottrina, di’, questi segreti appreso? Chi mai dal nulla escir le cose vide? Rammenti tu quell’ora, in cui da prima 1060Il tuo Fattor vita ti diè? Rammenti Il tempo in cui non eri, o allor chi fosse? Per propria forza animatrice noi, Quando un corso fatal tutto compiuto Ebbe ’l suo giro, per noi stessi al lume 1065Della vita sorgemmo eterei figli Di questo natìo ciel parto maturo. Da noi ci vien la nostra possa, e tosto Saprà mostrare il nostro braccio a prova Chi sia qui Signor nostro o nostro eguale. 1070Vedrai, vedrai se supplici d’intorno Per impetrar mercè verremo al soglio Di quel tiranno o a rovesciarlo: arreca All’unto re tai nuove, e fuggi prima Che al tuo fuggir la via si tronchi. - Ei disse, 1075E per quell’oste immensa un rauco e sordo Mormorar, pari al suon d’acque profonde, D’applausi echeggia a’ detti suoi: non meno Impavido perciò l’eroe celeste, Ancor che cinto di nemici e solo, 1080Fiero risponde: - Oh Spirto a Dio ribelle, Oh da Dio maledetto, oh d’ogni bene Orbo rimaso Spirto! Omai secura La tua ruina io scorgo, e questa, avvolta Nella tua fraude, sventurata ciurma, 1085Come del nero tuo misfatto, a parte Entrar vegg’io di tua terribil pena. Non affannarti, no, come tu possa Di Dio sottrarti al giogo: omai sì dolci Leggi non son per te: per te ben altro 1090È uscito irrevocabile decreto Dal labbro suo: quell’aureo scettro, a cui Ricusasti obbedire, in ferrea verga A sfracellar la tua cervice altera Converso è già: bene avvertisti; io lascio, 1095Ma non pel tuo consiglio o per le vane Minacce tue, quest’empie tende omai All’esterminio condannare: io fuggo Perchè la provocata ira superna Qui non divampi in subitana fiamma 1100E m’avvolga con voi. Sì, già sul capo Della tremenda folgore ti veggo Scoppiar il foco vorator: bentosto Saprai qual man ti fe’ nel sentir quella Che ti distrugge. - L’inclito Abdïello 1105Così parlò, solo fedel fra tante Infide innumerabili caterve. Non atterrito, non sedotto, immoto La prima lealtà, l’amor, lo zelo Ei sol mantenne, e dal verace calle 1110Nè l’esempio, nè ’l numero un sol passo Storlo, potè. Di que’ ribelli in mezzo Per lunga strada egli trapassa, e tutte Lor grida ed onte con tranquillo e fermo Volto sostien: sol col dispregio a tanta 1115Furia risponde, e a quelle torri altere, Già vicine a sentir l’orrendo peso Del divino furor, volge le spalle.
Fu pubblicato per la prima volta nel 1667, in dieci libri; seguì una seconda edizione, del 1674, divisa questa volta in 12 libri (in imitazione della suddivisione dell'Eneide di Virgilio) con delle piccole revisioni nel testo e l'aggiunta di una nota sulla versificazione.
Il poema tratta il racconto ebraico - cristiano - islamico della caduta dell'uomo: la tentazione di Adamo ed Eva da parte di Lucifero, e la loro cacciata dal Giardino dell'Eden. Il fine di Milton, espresso nel primo libro, è "svelare all'uomo la Provvidenza eterna" (I, 26) e spiegare il conflitto tra tale Provvidenza eterna e il libero arbitrio.
Il personaggio principale del poema è Satana, l'Angelo caduto. Letto attraverso un prospettiva moderna, a taluni può sembrare che Milton rappresenti Satana in modo positivo e compassionevolmente, come un essere ambizioso e orgoglioso che sfida Dio Onnipotente, suo tirannico creatore, e muove guerra contro il paradiso, per esser poi sconfitto e fatto precipitare in terra. Per meglio dire, William Blake (1757-1827) grande ammiratore di Milton e illustratore di tale poema epico, disse di Milton che "era un vero poeta, e stava dalla parte del diavolo senza saperlo".
Vicenda.
La storia è suddivisa in 12 libri, contro i 24 dei poemi omerici dell'Iliade e dell'Odissea. Il libro più lungo è il IX, con 1189 versi, mentre il più breve, il VII, consta di 640 versi. Ciascun libro è preceduto da un sommario, intitolato L'Argomento. Il poema, seguendo la tradizione epica, inizia in medias res ("in the midst of things"), essendo poi l'antefatto esposto nei libri V-VI...
L'opera di Milton narra due vicende: quella di Satana e quella di Adamo ed Eva. Quella di Satana (o Lucifero) rende omaggio agli antichi poemi epici di argomento guerresco. Inizia in medias res, dopo che Lucifero e gli altri angeli ribelli sono stati sconfitti e scaraventati da Dio nell'Inferno. Nel "Pandemonio", Lucifero deve impiegare le sue abilità retoriche per far ordine tra i suoi seguaci; è affiancato dai suoi fedeli tenenti Mammona e Belzebù. Alla fine della discussione, Satana si offre volontario per avvelenare la Terra, appena creata. Affronta da solo i pericoli dell'Abisso in un modo che ricorda molto quello di Ulisse e di Enea dopo i loro viaggi nelle regioni ctonie dell'Oltretomba.
L'altra vicenda è fondamentalmente diversa, una nuova sorta di epica: quella "domestica". Adamo ed Eva vengono presentati per la prima volta, nella letteratura cristiana, come dotati di attività anche prima di essere macchiati dal peccato: essi hanno passioni, personalità e sesso. Satana tenta Eva con successo, approfittando della sua vanità e ingannandola con la sua dialettica; Adamo, vedendo che Eva ha peccato, commette coscientemente il medesimo errore, mangiando anche lui il frutto proibito. In tal maniera, Milton ritrae Adamo come un personaggio eroico, ma anche come un peccatore ancor più grande di Eva. Dopo aver compiuto il peccato originale, essi hanno ancora caratteristiche sessuali, ma ora con una nuova sorta di sensualità che prima non possedevano. Dopo aver preso coscienza del loro errore, quello appunto di consumare il frutto dell'Albero della conoscenza, Adamo ed Eva prendono a lottare. Ad ogni modo, le suppliche di Eva ad Adamo fanno sì che i due si riconcilino. Adamo intraprende un viaggio visionario con un angelo, nel quale è testimone degli errori dell'uomo e del Diluvio universale, ed è incommensurabilmente rattristato dal peccato che hanno commesso attraverso l'assunzione del frutto. Ad ogni modo, gli viene anche mostrata la speranza, e cioè la possibilità di redenzione, attraverso la visione di Gesù Cristo. Essi, successivamente, vengono banditi dall'Eden, e un angelo aggiunge che qualcuno potrà trovare "un paradiso dentro di sé". Adamo ed Eva, ora, hanno un rapporto più distante con Dio, il quale è onnipresente ma invisibile, a differenza del tangibile Padre nel Giardino dell'Eden.
Personaggi principali.
Satana.
Inizialmente conosciuto come Lucifero, egli era un orgoglioso angelo che non riusciva a pensare a se stesso uguale agli altri angeli. Il giorno in cui Dio nominò il Figlio suo successore al potere, Lucifero si ribella a causa della propria invidia, prendendo con sé un terzo dell'intera popolazione di angeli del Paradiso. Egli è enormemente pieno di sé, e sicuro di poter abbattere Dio; le sue parole sono sempre fraudolente e ingannevoli. Assume varie forme nel corso della storia, le quali sono il riflesso della sua decadenza morale e razionale. Prima è un angelo caduto di considerevole levatura; successivamente un umile cherubino; un cormorano; un rospo; e infine un serpente. Tutto ciò è la raffigurazione di un'incessante attività intellettuale, senza alcuna abilità di pensare adottando un'ottica morale.
Adamo ed Eva.
Adamo è forte, intelligente e razionale, nato per la meditazione e la prodezza, e prima della caduta è perfetto esattamente come ogni essere umano potrebbe essere. È però caratterizzato anche da imperfezione, dacché talvolta s'abbandona a imprudenze e ad atteggiamenti irrazionali. Come conseguenza della caduta, la sua ragione pura e il suo intelletto vengono da lui persi, e l'uomo non è più capace di conversare alla pari con gli angeli (come fece con l'Arcangelo Raffaele), ma è come unilaterale (come si vede, con l'Arcangelo Michele, dopo la caduta). Il suo punto debole è l'amore per Eva. Egli confida a Raffaele che la sua attrazione per lei è travolgente, qualcosa che la sua ragione non è in grado di vincere. Dopo che Eva si nutre dall'Albero della Conoscenza, egli decide di compiere lo stesso atto, avendo realizzato che se lei è votata a ciò, egli deve seguirla nel suo destino infausto, per non perderla - anche se ciò significa disobbedire a Dio.
Eva è la madre di tutta l'umanità, inferiore ad Adamo nelle facoltà intellettive (perché l'uomo è considerato più vicino a Dio rispetto alla donna) e dotata di tenerezza e dolce grazia affettiva. Ella lo supera nella bellezza, per la quale essa stessa s'innamora della propria immagine al rimirarla nel riflesso in uno specchio d'acqua (qui v'è un richiamo al mito greco di Narciso). È proprio la sua vanità a essere sfruttata da Satana per persuaderla a nutrirsi dall'Albero della Conoscenza, per mezzo di lusinghe. Eva è chiaramente intelligente, ma a differenza di Adamo non è desiderosa di apprendere, essendo infatti assente nella conversazione di Adamo e dell'Angelo Raffaele nel libro VIII, e nelle visioni di Adamo presentate da Michele nei libri XI e XII. Eva non crede che sia suo compito andar in cerca della conoscenza in modo indipendente; preferisce invece che Adamo gliela trasmetta solo in un secondo momento. Il primo caso in cui evade dalla sua passività è quando s'avventura fuori da sola e finisce con l'ingerire il frutto proibito.
Dio.
Il Dio miltoniano è onnisciente, onnipresente e onnipotente: ciò sta a dire che egli ha prescienza degli eventi futuri, però non predestina - cosa che negherebbe interamente l'idea del libero arbitrio. La difficoltà nell'interpretazione del personaggio di Dio nel Paradiso Perduto è che è più una personificazione di idee astratte che un essere reale; egli è incarnazione della pura ragione (infatti, vi è un'interpretazione che vede in Satana la passione che combatte la ragione, facendone un'anticipazione dell'eroe romantico). Egli permette che il male accada, ma crea il bene dal male. Il critico letterario William Empson(1906-1984) ha chiarito molti dubbi dei lettori sul Dio di Milton nella sua influente opera, che porta lo stesso nome.
Il Figlio.
Il Figlio è la manifestazione di Dio nell'azione, il collegamento fisico tra Dio il Padre e la sua creazione, formando insieme a lui un Dio perfetto e completo. Personifica l'amore e la compassione e decide spontaneamente di morire per l'umanità, per redimerla, mettendo in luce la sua dedizione e il suo altruismo. Attraverso la sua forma umana, il Figlio verrà fatto discendere da Adamo, per mezzo del quale tutti gli uomini furono morti; ma egli sarà un secondo Adamo, per mezzo del quale tutti gli uomini saranno salvati. Nel Giorno del Giudizio, il Figlio apparirà nel cielo, avrà chiamato a raccolta da ogni angolo del mondo tutti, e condannerà i peccatori all'Inferno. L'ultima visione di Adamo, nel libro XII, è il sacrificio del Figlio come Gesù.
WOOD ENGRAVING - GRAVURE SUR BOIS - HOLZSTICH - XILOGRAFIA.
XILOGRAFIA ORIGINALE (TIRATURA D'EPOCA) ESTRATTA (TOLTA) DALL'OPERA: "IL PARADISO PERDUTO DI GIOVANNI MILTON", TRADOTTO DA LAZZARO PAPI, CON ILLUSTRAZIONI DI GUSTAVO DORE'; MILANO, STABILIMENTO DELL'EDITORE EDOARDO SONZOGNO, 1881.
L'INCISIONE E' UNA TAVOLA A PIENA PAGINA, CON MARGINI BIANCHI E RETRO BIANCO, HA PIU' DI 135 ANNI ED E' IN BUONO STATO, E' BELLISSIMA, ABBASTANZA NITIDA, MOLTO PITTORESCA E SUGGESTIVA. MISURE PAGINA cm 23,5 x 34, MISURE PARTE INCISA (LA SOLA IMMAGINE) cm 20 x 25 CON MARGINI BIANCHI, MISURE CON PASSEPARTOUT cm 32 x 39, RETRO BIANCO.
L'INCISIONE VIENE FORNITA COMPLETA DI UN PASSEPARTOUT DI TIPO PROFESSIONALE A SMUSSO, DI COLORE AVORIO, CHE TRASFORMA L'IMMAGINE IN UN PEZZO UNICO DA COLLEZIONE.