Una vena epico-narrativa era già evidente negli ultimi libri di Roberto Mussapi; ma qui, in questo 'Racconto di Natale', la narratività diventa l'elemento dichiarato e centrale, e una robusta, nuova volontà di raccontare con toni più colloquiali e popolari anima un poeta che ha sin qui prediletto un linguaggio alto e drammatico. Quella che Mussapi prende come spunto per il suo racconto in versi è una delle più meritatamente celebri storie mai uscite dalla penna e dalla fantasia di uno stato scrittore: si tratta di 'A Christmas Carol' di Dickens, dove viene inventato l'immortale personaggio di Scrooge, l'avaro. Ma nei confronti dell'opera di Dickens Mussapi si muove con libertà, con intuito poetico e con capacità di interpretare e sfigurare, come se operasse su una storia non dovuta ad uno scrittore individuale, ma appartiene al ciclo anonimo del mito. Così il suo vecchi Scrooge è indotto dalla visitazione dei fantasmi del Natale non al rimorso, ma al rimpianto, per tutto l'amore non dato e la vita non vissuta o vissuta nell'angustia dell'avarizia spirituale: la sua appare alla fine come una conversione alla gioia. La Londra di Dickens è vista attraverso il filtro di Eliot e di Wenders, con una straordinaria attenzione agli effetti luce. La fitta nebbia dell'inizio, descritta in versi di grande potenza, il buio che scende alle tre del pomeriggio, con le fiamme delle candele che dietro i vetri appannati "sembravano frittelle rosse sulla densa aria bruna", lasciano il posto alla magica, miracolosa neve della fine "con la sua luce molecolare e moltiplicata": così il lettore, che ha sin qui letto uan storia, accantivante e semplice, capisce di colpo di avere anche seguito il cammino arduo di una iniziazione.