Narro un breve episodio di quella grande lotta politica e sociale, che, dopo varii sparsi tentativi repressi con severità dai governi assoluti, divampò nel 1847 e nell'anno seguente per l'Italia tutta, e rapida si diffuse da un capo all'altro d'Europa. Quali ne siano state le cause lontane, quali i fatti determinanti e le idee motrici ed i fini e le vicende e le conseguenze, in molti libri fu detto: io mi propongo soltanto di lumeggiare in questo volume la prima scena della faticosa tragedia, cioè la sollevazione dei distretti di Reggio e di Gerace, la quale, pur essendo intimamente connessa ai moti delle altre regioni d'Italia, ebbe carattere quasi autonomo e svolgimento e catastrofe peculiare. Se il tempo mi basterà e la salute, proseguirò il lavoro, documentando in altro volume la condotta del popolo calabrese nella tempestosa epoca iniziata dal 1848. L'onesto lettore tenga conto della buona volontà, ove difettano le forze. 

INTRODUZIONE
Lo storico inglese Edward Carr dice che «un fatto non esiste se non c'è qualcuno che lo racconta». Asserzione verissima. Ed è per questo che ci accingiamo a rispolverare una pagina di storia risorgimentale: la sollevazione di Reggio e del distretto di Gerace nel 1847 che la storiografia ufficiale ha sempre ignorato, obliterando così questo significativo episodio del Risorgimento italiano, sebbene all'epoca dei fatti avesse suscitato vasta eco ed emozione in tutta Italia come afferma il De Sanctis quando dice che tra il settembre del 1847 e i primi del 1848 in Italia e in Europa fu assunto come simbolo di rivoluzione liberale proprio quel cappello calabrese che nel 1799 in tutta Europa era stato considerato emblema di reazione sanfedista. E dello stesso avviso pure il Croce: «i conati insurrezionali nella Calabria avevano fornito a tutta l'Europa un'insegna di libertà nel cappello calabrese, mezzo secolo addietro simbolo di reazione e di sanfedistico brigantaggio» (B. Croce Storia d'Europa Ediz. Laterza Bari 1943 pag. 163-164). «Nel pomeriggio del 2 ottobre 1847, si concludeva tragicamente con l'olocausto di cinque balde giovinezze, nella Piana di Gerace, quell'impresa insurrezionale, che con le parole di N. Nisco, non esitiamo a qualificare come l'episodio più audace del Risorgimento nazionale: la rivolta cioè dei cinque martiri del Jonio, Michele Bello, Pietro Mazzoni, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori e Rocco Verduci, condannati a morte col terzo grado di pubblico esempio (scalzi, genuflessi e bendati, con le mani legate al dorso e con i ceppi ai piedi), quali rei di lesa maestà, e caduti sotto il piombo di quaranta fucili borbonici (otto per ogni condannato), vittime gloriose del loro supremo ardimento. Naufragava così con il doloroso epilogo del loro sacrificio, dinanzi al plotone d'esecuzione, in un lavacro di orrore e di sangue àuspice il gen. Ferdinando Nunziante il mirifico sogno di libertà dei cinque protagonisti dell'impresa. E invano, il giorno precedente, nel patriziesco palazzo Malarby, sede del Giudicato Regio, innanzi alla Commissione Militare assurta a Corte Marziale, si era levata in loro difesa, in un regno dominato dal più efferato dispotismo liberticida, la strenua quanto appassionata voce di due luminari del foro locale, l'avv. Francesco Cesare di Gerace e l'avv. Gaetano Gallucci di Mammola. I rituali offici religiosi e la sacramentale confessione dei condannati furono celebrati, alle ore 14 di quel fatidico 2 ottobre, nella dugentesca Chiesa di S. Francesco d'Assisi, addossata all'edificio carcera rio in cui i cinque ardimentosi giovani erano stati rinchiusi, prima di essere tradotti, in macabro corteo, al luogo del supplizio, preceduti dalla salmodiante Confraternita del Sacro Cuore di Gesù e accompagnati dalla truppa di linea e dal lugubre rintocco delle campane». Con queste parole di Emilio Barillaro, avvocato ed illustre storico-archeologo e poeta calabrese, in sintesi la tragica conclusione della rivoluzione del 1847 nel distretto di Gerace alla quale associamo anche il ricordo dell'eroica caduta di Domenico Romeo barbaramente ucciso dagli urbani armati. Per una migliore comprensione degli avvenimenti di quel periodo, dopo aver curato per conto delle Edizioni Brenner la ristampa del libro «Sugli avvenimenti dei fratelli Bandiera e di Michele Bello in Calabria negli anni 1844- 1847» del Bonafede, ci sembra opportuna anche la ristampa dell'opera del Visalli, intitolata «Lotta e martirio del popolo calabrese il Quarantasette». Essa merita di essere riproposta all'attenzione del pubblico e degli studiosi anzitutto perché, come per l'opera del Bonafede, le copie tuttora esistenti sono rare, sicché oggi non è possibile reperirle se non in poche biblioteche o archivi di Stato, poi perché la ricostruzione degli avvenimenti di quel contesto storico non può prescindere dalle accurate ricerche di uno scrupoloso storico quale il Visalli, che da certosino indagatore visitò i paesi delle vittime raccogliendo le testimonianze dei parenti e dei testimoni oculari superstiti, rovistò negli archivi privati e di Stato prendendo nota di istruttorie, sentenze, circolari, disposizioni d'autorità, senza omettere alcun particolare. Giova premettere qualche osservazione sulle condizioni storico-ambientali dell'epoca. Tra i vari Stati italiani, il Regno delle Due Sicilie era quello più reazionario. Il Gladstone, primo ministro inglese, lo aveva definito governo negazione di Dio. Basti pensare che in quella cieca ferocia liberticida si poteva essere processati per la semplice detenzione di libri del tutto innocenti, come capitò ad un barbiere reggino che fu condannato perché gli furono trovati nel retrobottega i Canti di Leopardi, opera dichiarata dai censori molto pregiudizievole perché offensiva della religione e del buon costume. Ferdinando II non faceva niente per avviare al progresso il suo regno, anzi lo teneva isolato e chiuso a ogni alito d'innovazione e cultura come d'altronde ci conferma B. Croce: «La dinastia borbonica che cosa ricordava nella storia politica? Sconfitte militari e orrende stragi civili. Che cosa nel campo della cultura? La crassa ignoranza diventata attestazione di sani sentimenti politici. Che cosa nel campo sociale? La tendenza verso la plebe e l'adattamento del linguaggio di molti plebei. ...

Descrizione bibliografica
Titolo: Lotta e Martirio del popolo calabrese (1847-1848) 
Parte I: Il Quarantasette 1 Narrazione Storica 2 Note e Documenti
Volume 2 : Il Quarantotto 1 Narrazione Storica 2 Note e Documenti
Autore: Vittorio Visalli
Introduzione di: Antonio Jofrida
Editore: Catanzaro: Guido Mauro; Cosenza: Walter Brenner, 1987-1994
Lunghezza: 791 + 217 pagine; 25 cm
Soggetti: Meridionalismo, Storiografia, Storia sociale moderna contemporanea, Rivoluzione antiborbonica, Lotta politica, Martiri Calabresi, Dittatura, Borboni, Regno di Napoli, Reati politici, Basilicata, Potenza, Elenchi, Biografie, Condannati, Elenco Imputati, Atto di accusa, Calabria Citeriore, Processo, Moti, Reggio, Insurrezione Calabra, Documenti storici, Rivolte, Rivoluzioni, Matteo Mazziotti, Reazione borbonica, Risorgimento Meridionale, Ottocento, Albanesi, Domenico Cassiano, Cosenza, Cosentini, Mariano D'Ayala, Sicilia, Gerace, Unità d'Italia, Memorie, Carlo De Angelis, Giannandrea Romeo, Patrioti, Feudalesimo, Proletariato, Artigianato, Agricoltura, Economia rurale, Contadini, Massoneria, Carboneria, Sud, Vincenzo Gioberti, Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Brigantaggio, Briganti, Romanticismo, Democrazia, Mezzogiorno, Gaetano Cingari, Benedetto Musolino, Benedetto Croce, Riferimento, Bibliografia, Fonti storiche, Domenico De Giorgio, Francesco Fava, Pietro Aristeo 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