IL GIGANTE E LA LIMA 
THE GIANT AND THE FILE
LE GEANT ET LA LIME 
Gianni Brera , Vicenza : Campagnolo, 1993, 176 p. ; 22 cm
EDIZIONE FUORI COMMERCIO

Il cambio Campagnolo fu un’invenzione geniale che ha aiutato e aiuta ancora oggi i ciclisti ad affrontare ogni strada col giusto rapporto. La realizzò fa un signore vicentino che amava le bici e le corse.
A Tullio Campagnolo capitava spesso di “incantarsi”, come si dice in dialetto quando uno va dietro a un’idea senza sapere ancora dove lo porterà.
Nella sua lunga carriera sfornò quasi 200 brevetti, curando ogni minimo particolare del suo lavoro, che migliorò portando il suo marchio Tullio Campagnolo verso un’evoluzione continua,suggellata dal trionfo definitivo con il modello Gran Sport rimasto per una quarantina d’anni il cambio in auge tra i corridori.

Nato nei dintorni di Vicenza nell’agosto del 1901, Campagnolo si incantava guardando passare i treni: da giovane sognava di fare il macchinista e si vedeva già la faccia annerita dal fumo del carbone e gli occhialoni a protezione degli occhi, a dominare le locomotive. Aveva fatto il concorso per le ferrovie, ma aveva ottenuto solo il posto di secondo macchinista e allora era tornato nella bottega di fabbro del babbo.
Di Campagnolo è rimasto un ricordo tangibile anche nella letteratura sportiva: Gianni Brera gli dedicò “Il gigante e la lima“, un volume pubblicato in edizione privata alla scomparsa di Tullio, dove Brera, un poeta-cantore prestato allo sport, descrisse l’epopea di un grande amico: “Certo è che non aveva voglia di brandire una lima, di fissare un metallo il più possibile dentro la morsa, di cavarne qualcosa di immaginoso e di utile”.
Eppure la storia di come fu creato il cambio merita di essere raccontata. Bisogna risalire all’11 novembre 1925, a una corsa in bicicletta – il Gran Premio della Vittoria – che Getullio non potè finire perché si ritrovo appiedato ai piedi della Croce d’Aune, un valico a 1020 metri sull’altipiano di Sovramonte, nelle Alpi bellunesi.

Da dilettante aveva vinto una mezza dozzina di corse: quella cui teneva di più era la Astico-Brenta.
Oggi il cambio delle biciclette, tante, diverse, ultraleggere, tecnologiche, è diventato una cosa banale, dato che tutte ne sono dotate. Ma ai tempi di Campagnolo non esisteva, o meglio, per modificare il passo della pedalata bisognava fare un’operazione complessa e impegnativa, tanto che il marchingegno veniva impiegato praticamente solo da chi con la bicicletta s’ingaggiava nelle competizioni. In realtà, non mancarono i problemi anche per i ciclisti e per gli organizzatori delle grandi corse a tappe, come il Tour de France, dove Henri Desgrange, patron della Grande Boucle, si dichiarò contrarissimo ad un artificio meccanico, che avrebbe rammollito gli atleti.

La strada che ha portato al cambio adottato oggi, è stata molto lunga. Le invenzioni che hanno fatto da filo conduttore tra Tullio e il figlio Valentino (foto), attuale amministratore delegato dell’azienda, sono state frutto del lavoro di molti artigiani e meccanici, che sin dai primi decenni del Novecento si sono ingegnati per migliorare “l’artificio meccanico” deprecato da Desgrange.
Tullio Campagnolo scomparve nel 1983 e fino all’ultimo continuò a sfornare invenzioni, senza trascurare altri perfezionamenti al cambio e applicandosi anche al reggisella, allo sterzo, ai pedali e pure ai cavatappi.
Perché, come scriveva Brera: “La sua lima cantava inni discreti, armoniosi soltanto per lui“.

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