Sin dalla guerra civile russa, quando fecero parte
integrante delle "Armate Bianche" che si opponevano alle armate “Rosse
bolsceviche” le diverse etnie cosacche furono perseguitate e deportate,
visto che si opponevano alla penetrazione ideologica comunista e anche
perché venivano, a ragione, ritenuti un baluardo dell’Impero degli Zar.
Con l’inizio dell’offensiva tedesca i Russia nel 1941 molti dei
territori abitati dai cosacchi finirono sotto il controllo delle armate
germaniche le quali, dapprima molto timidamente (in quanto questa
politica contrastava contro le “direttive razziali” della parte più
intransigente del Nazionalsocialismo) poi in maniera nettamente più
marcata, incominciarono ad inquadrare reparti di cosacchi nei loro
dispositivi militari, soprattutto in funzione di antiguerriglia nelle
retrovie del fronte. Fu il generale Pannwitz, già ufficiale durante la
Grande Guerra e militante nei Corpi Franchi, che ebbe la "visione
stategica" di costituire un Corpo di Cavalleria Cosacco autonomo
inquadrato nelle FF.AA. germaniche. Dopo innumerevoli difficoltà
amministrative, burocratiche ed “ideologiche”, il nuovo Corpo di
cavalleria venne inviato ad operare nel territorio jugoslavo, contro le
sempre più numerose unità comuniste titine. La loro tattica, il loro
coraggio e la comprensione tenuta dai tedeschi inquadrati nel Corpo
cosacco, in primis dal generale Pannwitz che venne anche nominato
Feldataman di tutti i cosacchi, conseguì ottimi risultati contro le
formazioni della guerriglia comunista. Negli ultimi mesi di guerra il
Corpo seguì le sorti dell’esercito tedesco in ritirata verso l’Austria.
Qui si arresero alle truppe inglesi che, contrariamente a quanto
promesso, li consegnarono vigliaccamente alle truppe russe dell’N.K.
V.D. che li deportarono in campi di lavoro in sperdute regioni della
Russia. Qui gli ufficiali e buona parte dei tedeschi inquadrati nel
corpo furono processati e fucilati.
Brossura, formato 15 x 21 cm, pag. 222 + 16 di foto b/n e 8 di tavole a colori, Ritter Edizioni, Milano 2011
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