HENRY MOORE numero “ 8 ”
n° 1888 / 5000
Misure / Size: 30x23,5cm n° 1888 / 5000
Anno di Edizione / Year of Edition: 1971
Firmato in basso a destra. Numerato sul retro
Henry Spencer Moore (Castleford, 30 luglio 1898 – Much Hadham, 31 agosto 1986)
Figlio di un minatore, Moore divenne famoso per le sue opere astratte in bronzo di grandi dimensioni e per le sue sculture squadrate in marmo. Durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale da parte dei tedeschi, Moore come molti dei suoi concittadini londinesi, era solito rifugiarsi nelle stazioni della metropolitana. Da qui trasse ispirazione per molte delle sue opere che lo resero famoso. Il suo stile influenzato dall'arte primitiva e tribale rompe con i canoni classici tradizionali.
Henry Moore amava ispirarsi al corpo umano. Le sue statue rappresentano corpi primitivi e deformati, spesso dalle lunghe membra innaturalmente distese ma dinamiche nel gioco dei movimenti. Spesso raffigurano donne, simbolo di fertilità, o figure supine che sottolineano come l'uomo appartenga alla natura. Questo tema è stato interpretato come un segno di speranza e di fede nell'umanità, messaggio positivo che ha contribuito al successo di cui l'artista ha goduto dopo la seconda guerra mondiale.
Nel volume Mailart - Il recupero della memoria del critico Eraldo Di Vita si parla anche dei rapporti di Moore con l'arte postale. Una sua opera è collocata a Prato in piazza San Marco, ed è ora uno dei simboli della città (Forma squadrata con taglio, 1974).
Con Henry Moore. Il disegno dello scultore il Museo Novecento si posiziona a livello internazionale e lo fa con una mostra preparata negli ultimi due anni dal direttore dell’istituzione fiorentina in collaborazione con la direzione scientifica della Fondazione Moore. Le forme naturali – rocce, ciottoli, radici e tronchi –, gli animali, ma anche i teschi e poi la relazione tra il creatore e la materia, esemplificata anche dai disegni che ritraggono le mani dell’artista o l’artista al lavoro nel paesaggio, divengono il fulcro della mostra. Traendo spunto da una rilettura di alcuni temi centrali nella produzione di Moore, l’esposizione intende proporre un approfondimento sul valore del disegno nella sua pratica e sulla sua relazione con la scultura. Secondo Moore infatti: “L’osservazione della natura è decisiva nella vita dell’artista. Grazie a essa anche lo scultore arricchisce la propria conoscenza della forma, trova nutrimento per la propria ispirazione e mantiene la freschezza di visione, evitando di cristallizzarsi nella ripetizione di formule”.
Con Henry Moore. Il disegno dello scultore si
accende quindi un faro sulla produzione grafica di questo protagonista della
scultura contemporanea, che nel corso della sua intensa attività ha avuto modo
di confrontarsi non solo con la scultura primitivista ed extraeuropea e con le
sperimentazioni formali e linguistiche delle avanguardie storiche – su tutte,
le esperienze di Brancusi e Picasso –, ma anche con la tradizione della grande
arte italiana dei secoli precedenti, in particolare con quella dei maestri
attivi a Firenze e in Toscana, i grandi artefici dell’umanesimo in arte.
“Lo scopo principale dei
miei disegni è di aiutarmi a scolpire. Il disegno è infatti un mezzo per
generare idee per la scultura, per estrarre da sé l’idea iniziale, per
organizzare le idee e per provare a svilupparle…Mi servo del disegno anche come
metodo di studio e osservazione della natura (studi di nudo, di conchiglie, di
ossi e altro). Mi accade anche, a volte, di disegnare per il puro piacere di
farlo”, ha dichiarato Moore.
A partire da un’indagine sul rapporto di
Henry Moore con il dato naturale e con i principi di ritmo e forma ad esso
sottesi, verrà costruita una narrazione che muove dalla relazione tra
l’immagine dell’artista e il paesaggio
roccioso, per poi svilupparsi intorno allo studio della natura e delle
vicendevoli mutazioni tra elemento naturale e figura umana, fino ad arrivare
alla rappresentazione della forma primordiale. L’attenzione per
la forza strutturale che soggiace alle diverse conformazioni naturali, unita
all’osservazione dell’anatomia umana e dello spazio circostante, costituisce il
fondamento di una ricognizione su alcuni motivi iconografici ricorrenti nella
produzione grafica di Moore. Tra questi, si distinguono i paesaggi, le rocce,
gli alberi, gli animali, i monoliti, le mani dell’artista.
La scelta dei temi è dettata dalla volontà
di “scavare” in una
zona del lavoro di Henry Moore finora poco indagata e meno nota al grande
pubblico italiano, la cui conoscenza è legata soprattutto alle
sculture che rappresentano figure sdraiate e ai disegni della Seconda Guerra
Mondiale. Collegati da una comune ricerca sulla struttura e sulla forma, i soggetti
individuati consentono di rileggere la produzione di Moore rivelando importanti
richiami alla tradizione anglosassone, tra pittura romantica di paesaggio (il
riferimento è, in particolare, ai disegni dedicati agli eventi atmosferici, a
Turner ad esempio) e osservazione più prettamente scientifica (si pensi ai
disegni dedicati agli animali tipici di una certa cultura anglosassone). Il
motivo delle mani permette infine di approfondire un altro tema caro
all’artista. Per Moore, infatti, esse non costituiscono solamente uno strumento
indispensabile dell’attività artistica, ma sono a loro volta un soggetto che
consente di veicolare un ampio spettro di emozioni, sensazioni, sentimenti.
Era tempo ormai che la città di Firenze,
culla dell’umanesimo in arte tornasse a rendere omaggio a Henry Moore, lo
scultore moderno che più di ogni altro ha saputo interpretare e sviluppare la
lezione dei grandi maestri del Rinascimento, dando vita a un’esperienza nuova,
diversa anche se consequenziale per molti aspetti a quella di Masaccio e
Donatello, di Brunelleschi e Michelangelo. “Un’arte che oggi è ancora più che mai esemplare in
quanto al di là di argomentare sul suo astrattismo o meno si avverte sempre la
presenza dell’uomo, nel suo rapporto con la storia e la natura, con i suoi
tormenti e le sue inquietudini, con i suoi conflitti e le sue riconciliazioni”,
ha dichiarato il direttore del Museo Novecento.
Un nuovo umanesimo in arte di cui Moore era
consapevole: “Disapprovo
l’idea secondo cui l’arte contemporanea sarebbe un atto di fuga dalla realtà.
Il fatto che l’opera d’arte non abbia come scopo la riproduzione fedele delle
sembianze della natura non è motivo sufficiente per ritenere che essa sia uno
strumento di evasione dal mondo e dalla vita: al contrario, è proprio attraverso
l’arte che è possibile addentrarsi ancor più profondamente nella vita stessa.
L’arte non è un sedativo o una droga, né un semplice esercizio di buon gusto, e
neppure un abbellimento della realtà con piacevoli combinazioni di forme e di
colori; è invece una espressione del significato della vita e un’esortazione a
impegnarvisi con sforzi ancora maggiori”. Sono parole di Moore, che
valgono come viatico a questa mostra e forse anche a chi voglia ancora trovare
nell’arte uno strumento per migliorare il proprio rapporto con la realtà, gli
altri e la natura che ci circonda, sulla Terra e nel cosmo.