Dal retro di copertina:
Sergio Saviane tiene da più di dodici anni una fortunatissima rubrica di critica radiotelevisiva sul settimanale « L'Espresso», ma non vuole essere considerato un critico, mestiere, egli dice « che io non esercito e non voglio esercitare, come non riconosco la parola critico: lo cerco di scrivere per episodi, per esemplificazioni, per aneddoti, sia pure satirici e paradossali, cercando di non fare mai un commento e lasciando al lettore la libertà di giudicare ». Saviane infatti si pone nei confronti del fenomeno radiotelevisivo in Italia — e quindi della Rai che ne è l'incarnazione — non dall'interno, come farebbe un critico, ma dall'esterno: secondo l'ottica cioè di quella società civile che da anni si scopre ogni giorno plagiata da un gruppetto di burocrati romani, i quali grazie al regime democristiano, hanno messo le mani sul più potente sistema di informazioni del Paese e minacciano di continuare in questa appropriazione indebita nonostante la Corte Costituzionale, la volontà di libera espressione degli italiani dimostrata dalla nascita delle radio e delle TV libere, e nonostante infine il progresso tecnologico che tra pochi anni consentirà a tutti i cittadini, sempre che non venga l'autarchia del compromesso storico, di scegliere tra la Rai e tutti gli altri canali del mondo.
Non manca nessuno in questo libro: i piantoni della forbice, gli urogalli, i mezzibusti da allevamento, da allattamento e da riscaldamento, gli analfabeti da tre milioni, i dormiglioni: diciassette capitoli molto caustici e ironici sui quali però il lettore è costretto a riflettere continuamente. E vi è anche una premessa dove si spiega come mai il mezzobustismo della Rai abbia contagiato tutti i giornali e l'informazione, trasformando l'Italia in un grande carosello televisivo.
Sergio Saviane, nato cinquantadue anni fa a Castelfranco Veneto, è autore di Festa di Laurea, I misteri di Allegrie, I mezzibusti. Inoltre ha pubblicato presso SugarCo Moravia desnudo, un pamphlet sul mondo della critica letteraria, che ha ottenuto il successo del grande pubblico e l'apprezzamento della critica anticonformista. Corrado Stajano sul « Messaggero » l'ha definito: «... un libro sulla società intellettuale italiana, quella romana in particolare, che come la carta stampata prende tutto, ha leggi più umorali che morali, ha il senso del gregge o del quadrato di cavalleria, possiede armi di mafia e omertà più che capacità di libertà ». Così ha commentato Elio Chino! dell'«Espresso»: «Se Saviane fiuta e denuncia squallido conformismo e interessato servilismo in tanti "criticabondi" nostrani, chi può dargli torto? ». Lo stesso Moravia ha riconosciuto il cospicuo valore del libro sul piano morale affermando, in una lettera all'Autore: « ... uno scrittore è un uomo pubblico e deve quindi accettare oltre ai giudizi favorevoli anche quelli sfavorevoli e critici; credo quindi che Lei faccia bene a pubblicare il suo libro ».