Dai risvolti della copertina:
Da un'isola caraibica di smaltata bellezza si può anche fuggire - e in un'isola simile si può anche morire. L'agonia di un fratello malato di AIDS è di per sé un'esperienza atroce, ma per chi questo fratello non lo vede da vent'anni, per chi questo fratello non l'ha mai amato, la disgrazia può diventare un gorgo di estraneità, di colpe, di ricordi pieni di rancore. È quel che accade a Jamaica Kincaid: l'enigma di un uomo che muore scatena in lei, più che dolore, l'implacabile rovello di chi si è lasciato alle spalle una vita di miseria, abbandono e ostilità, marchiata per sempre da un inesorabile senso di sconfitta; una vita intessuta di rapporti familiari aspri e crudeli, dominati da una madre che col suo amore minaccioso ha legato a sé i figli in una relazione di torva dipendenza: «Avrei voluto dirgli, Non sa quello che fa, ma non sono mai stata capace di dirlo a me stessa, non sono mai stata capace di perdonarla per nessuna delle cose che non sapeva di fare quando le ha fatte a me. Lo guardai in faccia. I ricordi non le piacciono, avrei voluto dirgli». Algida e rabbiosa, ipnotica e ossessiva, la prosa di Jamaica Kincaid scava e ferisce, trascinando il lettore in una ricerca di sé che ha la stessa forza irradiante dell'Autobiografia di mia madre.
Jamaica Kincaid è nata ad Antigua nel 1949 e vive negli Stati Uniti. Di lei è apparso presso Adelphi Autobiografia di mia madre (1997).
«Il giovedì sera in cui seppi di mio fratello, in seguito alla telefonata di un'amica di mia madre, dato che in quel periodo mia madre e io non ci parlavamo (e questo non parlarci ha una vita tutta sua, è come uno strano organismo di cui nessuno può ancora decifrare le regole di sopravvivenza; mia madre e io non sappiamo mai quando stiamo per smettere di parlarci e non sappiamo mai quando stiamo per ricominciare), ero a casa mia nel Vermont, tutta presa dal benessere dei miei figli, tutta presa dal benessere di mio marito, tutta presa dal benessere di me stessa. Quando parlai con questa amica di mia madre, lei disse che mio fratello aveva qualcosa e che avrei dovuto chiamare mia madre per scoprire di cosa si trattava. Cos'ha? dissi io. Chiama tua madre, disse lei. Glielo domandai, usando quelle parole esatte, tre volte, e per tre volte lei rispose nello stesso modo. Allora io dissi, Ha l'AIDS, e lei disse, Sì».