Il primo volume dell'edizione curata da Giovanni
Bogliolo comprende le opere risalenti al periodo 1838-1862: Memorie di
un pazzo, Novembre, L'educazione sentimentale, Madame Bovary, Salambò.
In appendice i documenti relativi al processo contro Madame Bovary e le
polemiche seguite alla pubblicazioni di Salambò.
Recensione di Lauro, C., L'Indice 1997, n. 9
Forse l'unico lettore recalcitrante e scontento di fronte a questo
eccellente "Meridiano" sarebbe proprio Flaubert. Di certo non avrebbe
mai ammesso di far precedere "Madame Bovary" e "SalammbÖ" da tre opere
giovanili come i "Mémoires d'un fou", "Novembre" e la prima " ducation
sentimentale".
Ventenne - ma già ipercritico - non aveva osato pubblicarle e ancora
nella maturità si era compiaciuto per quella saggia rinuncia. L'ora
della Scrittura, ufficialmente, era scoccata soltanto nel 1857 con la
pubblicazione di "Madame Bovary" (una stesura iniziata sei anni prima)
ed era proseguita con calcolata lentezza attraverso la faticosissima
elaborazione degli altri quattro o cinque "capolavori" sino al 1880
(anno della morte sull'incompiuto "Bouvard et Pécuchet").
Il rovello di questi trent'anni di logoranti autoreclusioni e di
revisioni infinite fu sempre il medesimo: ottenere uno Stile che con la
sua inflessibile omogeneità e continuità, senza sbalzi o impurità
(Proust parlerà di "superfici riflettenti") coincidesse con una visione
impersonale e assoluta su cose e eventi. E difatti già in "Madame
Bovary" le cose si svuotano della loro tradizionale figuratività e gli
eventi tendono a rarefarsi sino a sfiorare la stasi: è il noto "romanzo
sul nulla". L'autore si è completamente eclissato dietro uno Stile
progettato sin dall'inizio come "una tonalità grigia, un colore
ammuffito di esistenze sotterranee".
Definito "romanziere dei romanzieri" da Henry James (nessuno meglio di
lui poteva porgergli la corona del martirio e nominarlo ancora "nostra
coscienza"), Flaubert segna davvero lo spartiacque tra passato e
modernità del romanzo. Più esplicito sarà Proust proclamando in quello
stile un rinnovamento nella visione delle cose paragonabile a quello
operato dalle categorie kantiane: elogio a lunga gittata confermatosi
con la fortuna flaubertiana, cinquant'anni dopo, presso i teoriciÊdel
Nouveau Roman (a parte più segreti omaggi: una delle tre "gravures"
citate nella prima pagina del flaubertianissimo "Les choses" di Perec
allude all'esordio dell'" ducation sentimentale").
Ma il riconoscimento di una centralità e di una perfezione quasi
irripetibile non coincide necessariamente con l'accettazione
incondizionata. C'è stato anche, più o meno strisciante, una sorta di
tarlo antiflaubertiano contro i metodi e i tempi di lavoro (soprattutto
tra i suoi contemporanei) e anche contro settori importanti
dell'"Îuvre". Probabilmente più o meno indirettamente provocato da una
professione di magistero artistico sempre conclamata, dalla sfida
anacoretica, dalla costante pretesa del capolavoro assoluto. Si veda il
livido rimprovero di Sainte-Beuve sulla troppo lunga gestazione di
"SalammbÖ" ("non bisogna metterci tanto tempo (...) se no, si arriva in
ritardo sulla propria epoca") e il mezzo rimpianto di James su una
produzione che avrebbe potuto essere più "abbondante". Né è l'unica
incrinatura dell'elogio jamesiano: valgano ancora la strana diffidenza per "Bouvard et
Pécuchet", l'ingiusta definizione di fallimento per l'éducation
sentimentale" (già peraltro sancita da Faguet). E nessuna
autentica simpatia o vicinanza spira dallo stesso articolo di Proust, e
anzi una sentenza di mediocrità per il famoso epistolario; né si
dimentichi che la brillante disamina (disamina che penetra nell'uso
flaubertiano di imperfetti, pronomi e preposizioni come nessun'altra)
era nata, a sua volta, per difendere il "genio grammaticale" da una
critica assai riduttiva firmata da Albert Thibaudet...
Naturalmente, negli anni, la ricerca più specialistica ha allargato, su
più ambiti, la conoscenza flaubertiana, riesumando "in primis" (con
buona pace delle reticenze dell'autore) tutta la narrativa anteriore a
"Madame Bovary". E non solo: illuminazioni decisive sono giunte - come
riferisce l'intelligentissima e incisiva introduzione di Giovanni
Bogliolo - dalle quattromila lettere dell'epistolario e dalle
venticinquemila pagine manoscritte di appunti e stesure (a duemila si
sarebbero poi ridotte le pagine effettive degli "omnia": come dire che,
mediamente, per ognuna ne occorsero dodici "preparatorie").
Un merito grande di questo "Meridiano" (merito che non ha la "Pléiade"
francese) è l'inclusione delle tre opere giovanili citate che, tra
l'altro, rivelano nel maestro dell'impersonalità una insospettabile
vocazione all'autobiografismo. Le brevi, maledettistiche "Memorie di un
pazzo" (scritte a diciassette anni) non escono affatto dal recinto dello
sfogo confessionale, mentre "Novembre", pur sempre in prima persona,
tende a organizzarsi in una struttura più schiettamente narrativa (e c'è
già un personaggio flaubertiano che fa della propria finestra, come più
tardi Emma Bovary, un luogo esistenzialmente cruciale: Marie, romantica
prostituta). Poi, nella prima "Educazione sentimentale" (qui in una
traduzione inedita di Giorgio Caproni) l'autobiografismo del giovane
Flaubert abbandona la prima persona e scinde il proprio fardello
psicologico (ambizioni e audacie; idealismo e sentimentalismi) nei due
protagonisti del romanzo, Henry e Jules.
Nulla, se non il titolo e la forma di "Bildungsroman*, accomuna
quest'opera all'omonimo capolavoro del 1869 (quest'ultimo centrerà
eventi e delusioni sulla rivoluzione del '48; la prima "Educazione" era
terminata nel '45). Sviante è dunque parlare di "prima "Educazione"" (se
non in senso cronologico) o, peggio, di "prima versione" per una mera
comunanza di titolo.
Giungere a ritroso dalle prove mature a questo primo romanzo, significa
soprattutto scordarsi il teorico dell'impersonalità e imbattersi nella
"verve" loquace di un narratore onniscente, con i suoi commenti sugli
eventi, gli ammicchi brillanti al lettore, le digressioni estetiche.
Ma quanti altri antiflaubertismi, in questa " ducation*: disinvolti
slittamenti del punto di vista; contrasti di tono che Bogliolo indica
oscillanti tra il lirismo di Chateaubriand e l'allegro realismo di
Pigault-Lebrun (corrispondenti ai rispettivi caratteri di Jules e
Henry); alcuni squilibri strutturali (lunghezze difformi dei capitoli); e
un proliferare di accadimenti che, appena dieci anni dopo, Flaubert
avrebbe certo arginato e stemperato sino all'assenza di azione, in
favore dei grandi spazi vacanti (l'" ducation* può concedersi la lunga
fuga in America di Henry e Mme Renaud, ove in "Madame Bovary", noterà
Jean Rousset, il viaggio di Emma sarà soppresso e ridotto a una pura
immaginazione di lei).
Ma se il romanzo del '45 non lascia neanche intravedere i futuri rigori,
è anche vero che sul piano contenutistico affiorano premonizioni e
"topoi" della maturità: nelle inesauste peregrinazioni culturali
(ventunesimo capitolo) di Jules - letterarie, storiche, linguistiche:
consolazioni di una delusione amorosa - si anticipa l'affanno
autodidatta ed enciclopedistico della coppia Bouvard e Pécuchet; e, in
particolare, le numerose fantasticherie decadentistiche legate
all'esotico e all'antichità sono le stesse che avranno superbi sviluppi
in "SalammbÖ". C'è anche il lungo episodio dell'incontro tra Jules e il
cane (ventiseiesimo capitolo): pena, reazione violenta, timore
superstizioso, senso di colpa, delirio di Jules si concentrano sulla
bestia, prefigurando Saint Julien l'Hospitalier e il cervo nel più
perfetto dei "Trois Contes".
La traduzione splendida di Caproni, con toscanismi e arcaismi che
vivacizzano senza tradire, esalta questa prova giovanile che poco
aggiunge alla gloria di Flaubert, ma molto alla comprensione del suo
percorso. A quest'ultima, in generale, tende generosamente il volume con
le note introduttive, le due estese appendici (gli atti del processo a
"Madame Bovary"; il dibattito tra Sainte-Beuve e Flaubert su
"SalammbÖ"), e una invogliante cronologia (dovuta a Piero Toffano) che
si scorre con più piacere e profitto di tante verbose biografie.
VOLUME 2 (1863-1880)
Il secondo e conclusivo volume dell'edizione di Flaubert nei Meridiani
raccoglie le opere dal 1863 all'anno della morte, spaziando, sia pure in
maniera antologica, per tutti i generi tentati dallo scrittore, compreso il
teatro, grande e infelice amore della sua vita.
Il libro si apre con uno dei
suoi capolavori, la seconda Educazione sentimentale e si chiude con un altro
purtroppo incompiuto, Bouvard et Pécuchet, accompagnato dal gustosissimo
Dizionario delle idee correnti. Inoltre, la commedia Il candidato, in cui lo
scrittore manifesta tutto il suo scetticismo per la vita politica e i suoi
rappresentanti, le due diverse redazioni della Tentazione di sant'Antonio e il
piccolo gioiello dei Tre racconti.
Curatore del volume è Giovanni Bogliolo.
Pagine: XXXIV-1893
Dimensioni mm: 177 x 118 x 55
Curatore: Giovanni Bogliolo.
Traduzioni di : Giovanni Raboni, Agostino Richelmy, Giuseppe Montesano, Giovanni Ferrero, Giovanni Bogliolo.
1^ edizione Mondadori nella collana "I Meridiani Collezione" (maggio 2006).
Esemplare (al pari del I volume) in
eccellenti condizioni interne ed esterne come da foto.
Rilegatura in ecopelle con caratteri e motivi in oro sul dorso. Sovraccoperta editoriale in acetato trasparente.
Provvisto di due segnalibri in cotone di colore blu.
L'indice
dettagliato è riportato nelle immagini allegate all'inserzione.