CHIAVE PER REGOLAZIONE colpi per HOWITZER da 105 mm. L’attrezzo serviva quale sicura per l'innesco involontario e per regolare il tempo di innesco. Qualche segno di ruggine. Proviene da Salerno. Oggetto inerte e inutilizzabile. 

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Note sullo sbarco a Salerno:

Protagonista di uno degli episodi più decisivi della seconda guerra mondiale fu il Golfo di Salerno, da Maiori ad Agropoli. Gli obiettivi dell’operazione, delineati dal generale Dwight D. Eisenhower, comandante in capo del Teatro di Operazioni Mediterraneo, dal generale Mark Wayne Clark, comandante della V Armata e dal vice ammiraglio Henry K. Hewitt, comandante della Forza Navale d’Impiego Occidentale, erano ben precisi: gli Alleati volevano allontanare i Tedeschi dall’Italia Meridionale, impadronirsi delle basi aeree di Foggia, raggiungere Napoli e liberare Roma. Alternative al Golfo di Salerno erano il Golfo di Gaeta, scartato perché troppo distante dalla Sicilia, ed il Golfo di Napoli, escluso dalle operazioni perché pieno di mine. Il territorio costituiva inoltre una sorta di triangolo pianeggiante, circondato da alture, dalle quali si poteva godere una perfetta visuale su tutta l’area, ed era diviso dal fiume Sele, troppo profondo per essere guadato. La piana del Sele era stata bonificata dal regime fascista e vi era, nell’area, anche un buon asse viario: la SS18 proveniente da Napoli, la SS88 per Avellino, la SS19 per Eboli, Agropoli e Potenza; da Vietri sul Mare si poteva giungere verso Napoli attraverso il valico di Chiunzi. Anche la rete ferroviaria era efficiente, mentre nella zona di sbarco c’era addirittura l’aeroporto di Montecorvino (oggi Salerno-Pontecagnano). L’8 settembre 1943, Salerno, ancora ignara dell’imminente arrivo delle forze alleate, era stata colpita dall’ennesimo bombardamento: alle 19.45 tutti i residenti vennero rinchiusi nei rifugi, dove appresero dalla radio e dal maresciallo Pietro Badoglio che il governo italiano aveva chiesto un armistizio al generale Eisenhower ed aveva firmato la resa incondizionata. Anche i 100.000 soldati inglesi ed i 70.000 americani che componevano il corpo di sbarco appresero la notizia: essa suscitò grandi manifestazioni di gioia ed ebbe sfortunate conseguenze psicologiche, in quanto i soldati si erano convinti che a Salerno avrebbero trovato folle in festa. L’eccessiva sensazione di tranquillità fu subito smorzata dagli ufficiali che ricordarono ai subalterni la presenza dei Tedeschi a Salerno e che già avevano fatto scattare il piano d’emergenza. La forza d’invasione, ovvero la V Armata, attuò due sbarchi, a distanza di 15 chilometri l’uno dall’altro, utilizzando il Sele come divisore. Le condizioni metereologiche erano ottimali: notte calma e senza vento, cielo sgombro dalle nuvole. L’ora X scattò alle 3.30 del 9 settembre, momento di massima oscurità, utile per l’occultamento della forza da sbarco, ma svantaggiosa per le manovre di avvicinamento. Il generale Clark diede vita all’operazione Avalanche su una lunghezza di costa di circa 40 chilometri. I soldati presero terra, ma la Luftwaffe diede iniziò ad una serie di mitragliamenti sulle navi in rada e sui mezzi da sbarco, causando ingenti perdite di uomini. Ma il VI Corpo d’Armata e la 36esima Divisione riuscirono a “superare il battesimo di fuoco” e i Commandos della Special Service Brigade sbarcarono senza difficoltà a Marina di Vietri. Nel frattempo anche l’altro corpo speciale, i Rangers, era sbarcato a Maiori. All’apparire dell’alba gli alleati erano arrivati alle porte di Cava de' Tirreni ed una loro pattuglia ebbe un primo scontro a fuoco con i tedeschi sul ponte di San Francesco. Una camionetta inglese entrò perfino nell’abitato e distribuì sigarette e cioccolata. Poi i tedeschi concentrarono i loro carri armati lungo il Corso Umberto per tenerli al riparo dalle batterie alleate dal mare, e dall’aviazione dal cielo. La popolazione abbandonò il Borgo e si rifugiò in massa nella Badia dei Benedettini o si sparpagliò per la campagna riparandosi nelle case coloniche. I soldati tedeschi, per approvvigionarsi di dolciumi e di sigarette, scassinarono le tabaccherie e le pasticcerie, mentre i più spregiudicati della popolazione fecero il resto, incitando i tedeschi a svellere con i carri armati le porte di tutti i negozi. Molti cavesi furono spinti al saccheggio in buona fede, per procurarsi i viveri in quel marasma in cui non era tanta la preoccupazione di scampare alla morte, quanto quella di sopravvivere alla fame. Fu saccheggiato il Molino ed il Pastificio Ferro, e ne furono svuotati i grandi depositi di pasta e di grano; furono svuotati i magazzini del Consorzio e furono saccheggiati tutti i negozi del Borgo. Non mancarono, però, atti di abnegazione e tentativi di mantenere l’ordine tra i civili da parte dei più generosi. Alcuni civili furono costretti dai tedeschi a lavori pesanti, pur sotto le cannonate. L’11 settembre il colonnello Lane assunse possesso del governo militare, ma due giorni dopo i Tedeschi sferrarono il contrattacco, riconquistando Battipaglia ed Altavilla. Il generale Clark decise allora di far intervenire i paracadutisti dell’82esima Divisione Aviotrasportata Airborne ma senza i risultati attesi. Fu così che il generale Alexander decise di optare per l’intervento della squadra navale: un duro risvolto si ebbe sulla popolazione civile a causa dei bombardamenti aerei, apocalittici per entità, terrore ed orrori. Il 15 settembre i Tedeschi cominciarono un piano di ripiegamento graduato, che prevedeva l’attuazione della politica della terra bruciata, la distruzione di tutto ciò che era inamovibile e la razzia degli uomini da condurre nei campi di lavoro forzato. L’offensiva definitiva è datata 23 settembre: era giunto il momento di forzare il Passo di Molina di Vietri sulla SS18 per irrompere nell’Agro Nocerino-Sarnese e portare l’attacco a Napoli. La resistenza tedesca fu decisa, specialmente quando, oltrepassata Molina, le unità alleate si diressero verso Cava de’ Tirreni. Proprio la mattina del 23 settembre, un carro armato tedesco si accingeva a salire verso la Badia per una azione di rappresaglia contro la popolazione ivi rifugiata; ma nella strettoia che la strada fa a S. Arcangelo, non potette proseguire oltre. Alcuni sconsiderati si fermarono a guardare, ed i tedeschi del carro armato, adirati dall’inconveniente o forse nell’intento di compiere egualmente la rappresaglia, scaricarono su quegli sconsiderati una sventagliata di mitragliatrice. Prima di abbandonare Cava, i Tedeschi provvidero a far saltare il ponte di S. Francesco sulla strada Nazionale e il ponte sulla ferrovia presso Villa Alba, allo scopo di ritardare l’avanzata degli anglo-americani, i quali però in poche ore buttarono un ponte di ferro e legno sul ponte S. Francesco ristabilendo immediatamente la comunicazione con Salerno, mentre per l’avanzata dei loro carri armati si erano serviti della strada ferrata che i tedeschi non avevano toccata. Altre mine furono poste dai tedeschi agli altri ponti di Cava e sugli incroci stradali, ma non ebbero il tempo di farle brillare. Il 28 settembre la battaglia di Cava era conclusa e gli Alleati, procedendo verso l’Agro e superandolo, dopo tre settimane di combattimenti, alle ore 9.30 del 1 ottobre ‘43, entrarono a Napoli: l’operazione Avalanche era conclusa. Nei venti giorni che durò la battaglia su Cava, si contarono oltre seicento morti tra la popolazione civile. La spontanea reazione di altra parte della popolazione alle truppe tedesche incominciò non appena queste occuparono il Borgo con i carri armati ed i Villaggi con postazioni di armi pesanti. Questa reazione si tramutò altresì in collaborazione con le truppe alleate, alle quali furono fornite tutte le indicazioni necessarie ad infrangere la resistenza tedesca senza perdite da parte dei liberatori.

 


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