Troppe volte, invece di fare un’onesta analisi storica, le troppe
sconfitte delle armi italiane nella seconda guerra mondiale sono state
addebitate alla sfortuna o al tradimento. Bisogna invece onestamente e
freddamente considerare, com’è ampiamente risaputo, che “la fortuna non
si va a cercare a domicilio, occorre andarle incontro”, mente per il
tradimento, soprattutto per quanto insinuato da Rommel, che poi nel
dopoguerra ha dato sfogo a un’ampia letteratura con bersaglio,
immeritato, soprattutto la Marina italiana, si può tranquillamente dire
che esso non esisteva e le vittorie britanniche erano da addebitare ai
seguenti motivi: all’organizzazione crittografica britannica Ultra (in
particolare nel campo navale) che riusciva perfino a conoscere quanti
aerei di scorta avessero le navi italiane dei convoglio con l’Africa
settentrionale; alle carenti organizzazioni di chi guidava le sorti
della guerra; alla disparità dei messi e delle scorte terrestri, aeree e
navali; alla mancanza dei prodotti petroliferi; all’inferiore quantità e
qualità dei mezzi costruiti durante il conflitto; ai progressi del
nemico nel campo elettronico e dell’addestramento.
È invece
ampiamente da criticare lo scarso spirito d’iniziativa dei comandanti
delle Regie Forze Armate, che sempre —facendo irritare i tedeschi—
cercavano di risparmiare le forze. Ciò, purtroppo, avvenne anche
nell’ultima offensiva contro Malta e nella contemporanea preparazione e
conduzione dei convogli per l’Africa, dove le molte lacune italiane, da
noi descritte, furono ancora una volta evidenti e in gran parte
assolutamente non scusabili. Le cifre sull’attività bellica che abbiamo
elencato, soprattutto quelle sugli attacchi di bombardamento realizzati
su Malta, ne sono una prova assai evidente e difficilmente contestabile.
Di Francesco Mattesini, 286 pagine