Clara Gallini
LE BUONE INTENZIONI
POLITICA E METODOLOGIA NELL'ANTROPOLOGIA CULTURALE STATUNITENSE
Ed. Guaraldi 1974
Coll: Le scienze dell'uomo n° 15 
pagg. 106+(6)
 Formato 11X17 cm. circa
cop. brossura editoriale illustrata  
Stato: molto buono

Dalla quarta di copertina:
Le buone intenzioni sono quelle dì chi, condizionato da un'ottica umanitaristica, crede che per intervenire sul sistema sia sufficiente una denuncia dello sfruttamento, fatta in base a principi morali. Nel caso che qui si analizza, le buone intenzioni sono quelle di una parte, minoritaria ma significativa, dell'antropologia culturale statunitense, che a partire dal dopoguerra ha tentato una revisione critica delle proprie finalità e della propria metodologia, commisurandosi rispetto alle nuove realtà politiche e sociali, e in particolare rispetto all'imperialismo USA nei suoi aspetti neocolonialistici. Il dibattito concerne in special modo il ruolo dell'antropologo e i suoi rapporti con gli organismi di potere politico e militare, che in misura sempre crescente tendono a utilizzare i servigi di questo specialista in scienze sociali, vuoi come studioso di zone « pericolose », vuoi come consigliere di operazioni antiguerriglia. Su questi temi, dopo anni di colpevole silenzio, avvengono finalmente le prime, se pur limitate, denunce.
A livello delle questioni metodologiche implicite al diBattito sul ruolo dell'antropologo nell'ambito dell'espansionismo USA, conservatori e radicali si scontrano sul modo di intendere la scienza e la ricerca. A una Scienza super partes, che avanzando pretese di neutralità e di oggettività, maschera una concezione statica e conservatrice del dato sociale, gli studiosi radicali oppongono l'ideologia dell'impegno (commitment) sociale e politico, comportante un'analisi « partigia-na » del dato sociale e antropologico. D'altronde, è proprio in questo tipo di proposta che troviamo presenti, come contraddizione implicita, assunti pragmatistico-moralistici, segno di « buone intenzioni », ma anche indice di un limite oggettivo alla possibilità di andar oltre proposte di un impegno umanitaristico a livello individuale o di categoria professionale. Ci si chiede inoltre: è proprio vero che un'analisi di classe debba rinunciare, per il sol fatto di essere partigiana, a una reale oggettività scientifica?