1^ edizione.
Pagine 151 - fotografie a colori di Pier Giorgio Scarlandis.
Testo in italiano, inglese, francese e tedesco; didascalie delle fotografie in INGLESE.
Copertina rigida.
Libro in più che buone condizioni.
Hong
Kong è un’invenzione straordinaria. Appendice capitalistica della
Repubblica Popolare Cinese, è una colonia a statuto e legislazione
britannica per una popolazione che è cinese al 98%; ha uno status di
libero porto di scambio e si fonda su un sistema economico liberale.
Cinque
milioni e mezzo di persone vivono su un territorio di 1.065 Kmq. Il
pace-maker che alimenta questo sofisticato meccanismo commerciale ha
carica limitata nel tempo. Il contratto con cui Pekino nel 1898 si
impegnava a cedere in affitto i New Territories alla Corona Britannica
per la durata di 99 anni, scadrà il 30 giugno 1997. Eppure, in uno
spazio ed in un tempo presi a prestito, Hong Kong vive e produce a ritmi
sconcertanti.
Parlare di colonia oggi, sembra un’ostentata
reminiscenza vittoriana; dire paese o nazione è eccessivo. Città? No,
Hong Kong è più di una città. Sulla carta geografica è un territorio che
comprende l’isola di Hong Kong, colonia britannica in perpetuo, la
penisola di Kowloon, i Nuovi Territori e più di 230 isole ed isolette su
cui vivono ancora comunità di pescatori e di monaci.
Hong Kong
accoglie da sempre profughi di tutte le razze. La ribellione di Tai Ping
nel 1850, lo scoppio del conflitto sino-nipponico nel 1937, poi la
guerra del Vietnam, portarono sull’isola centinaia di migliaia di
rifugiati. Partivano all’avventura, ad Hong Kong avrebbero fatto
fortuna. Molti oggi vivono in lussuosi appartamenti sulla collina.
Costituiscono
quella che viene chiamata Peak Aristocracy. I suoi cadetti non portano
un titolo. Sono miliardari. Il loro blasone è il lavoro e l’albero
genealogico, quello di famiglie di contadini che hanno abbandonato la
terra degli avi rincorrendo un sogno: il successo. E questo desiderio
accomuna tutti in un entusiasmo febbrile. Invidia? Forse, ma solo per
chi è arrivato prima di loro. E lavorano, lavorano tutti, non importa se
banchieri o fattorini, sarti o camerieri, industriali o bottegai.
Intere famiglie si trasformano in catene di montaggio che fanno
concorrenza alle più avanzate tecnologie dell’industria. A ritmo
incalzante confezionano giocattoli, blue jeans, ombrelli e transistors
con la prospettiva di nuovi investimenti. Nelle vie c’è chi compera e
chi vende. L’obiettivo principale è quello di far soldi e poi di
spenderli. E ne spendono tanti. Amano il lusso e l’eleganza, il brandy
ed i piaceri della buona tavola.
Centro storico dello shopping é Nathan Road...