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ATTENZIONE, SI TRATTA DI UN'IMMAGINE INGRANDITA, PER FARE VEDERE
IL PIU' POSSIBILE I DETTAGLI DELL'OGGETTO: LE DIMENSIONI REALI
SONO PIU' PICCOLE E SONO RIPORTATE NELLA DESCRIZIONE DELL'OGGETTO
IN MODO PRECISO ED INEQUIVOCABILE: AL MEZZO CENTIMETRO!!! 

 

 



...  TUTTO  L'ORO,  CH'E'  SOTTO  LA  LUNA,
O  CHE  GIA'  FU  DI  QUESTE  ANIME  STANCHE
NON  POTEREBBE  FARNE  POSAR  UNA..

INFERNO,  c.  VII,  v.   64 - 66.



AUTORE: Gustave  Doré.




INFERNO.  Canto  VII.


«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,

cominciò Pluto con la voce chioccia;

e quel savio gentil, che tutto seppe,

disse per confortarmi: «Non ti noccia

la tua paura; ché, poder ch'elli abbia,

non ci torrà lo scender questa roccia».

Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia,

e disse: «Taci, maladetto lupo!

consuma dentro te con la tua rabbia.

Non è sanza cagion l'andare al cupo:

vuolsi ne l'alto, là dove Michele

fé la vendetta del superbo strupo».

Quali dal vento le gonfiate vele

caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,

tal cadde a terra la fiera crudele.

Così scendemmo ne la quarta lacca,

pigliando più de la dolente ripa

che 'l mal de l'universo tutto insacca.

Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa

nove travaglie e pene quant' io viddi?

e perché nostra colpa sì ne scipa?

Come fa l'onda là sovra Cariddi,

che si frange con quella in cui s'intoppa,

così convien che qui la gente riddi.

Qui vid' i' gente più ch'altrove troppa,

e d'una parte e d'altra, con grand' urli,

voltando pesi per forza di poppa.

Percotëansi 'ncontro; e poscia pur lì

si rivolgea ciascun, voltando a retro,

gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».

Così tornavan per lo cerchio tetro

da ogne mano a l'opposito punto,

gridandosi anche loro ontoso metro;

poi si volgea ciascun, quand' era giunto,

per lo suo mezzo cerchio a l'altra giostra.

E io, ch'avea lo cor quasi compunto,

dissi: «Maestro mio, or mi dimostra

che gente è questa, e se tutti fuor cherci

questi chercuti a la sinistra nostra».

Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci

sì de la mente in la vita primaia,

che con misura nullo spendio ferci.

Assai la voce lor chiaro l'abbaia,

quando vegnono a' due punti del cerchio

dove colpa contraria li dispaia.

Questi fuor cherci, che non han coperchio

piloso al capo, e papi e cardinali,

in cui usa avarizia il suo soperchio».

E io: «Maestro, tra questi cotali

dovre' io ben riconoscere alcuni

che furo immondi di cotesti mali».

Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:

la sconoscente vita che i fé sozzi,

ad ogne conoscenza or li fa bruni.

In etterno verranno a li due cozzi:

questi resurgeranno del sepulcro

col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.

Mal dare e mal tener lo mondo pulcro

ha tolto loro, e posti a questa zuffa:

qual ella sia, parole non ci appulcro.

Or puoi, figliuol, veder la corta buffa

d'i ben che son commessi a la fortuna,

per che l'umana gente si rabuffa;

ché tutto l'oro ch'è sotto la luna

e che già fu, di quest' anime stanche

non poterebbe farne posare una».

«Maestro mio», diss' io, «or mi dì anche:

questa fortuna di che tu mi tocche,

che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».

E quelli a me: «Oh creature sciocche,

quanta ignoranza è quella che v'offende!

Or vo' che tu mia sentenza ne 'mbocche.

Colui lo cui saver tutto trascende,

fece li cieli e diè lor chi conduce

sì, ch'ogne parte ad ogne parte splende,

distribuendo igualmente la luce.

Similemente a li splendor mondani

ordinò general ministra e duce

che permutasse a tempo li ben vani

di gente in gente e d'uno in altro sangue,

oltre la difension d'i senni umani;

per ch'una gente impera e l'altra langue,

seguendo lo giudicio di costei,

che è occulto come in erba l'angue.

Vostro saver non ha contasto a lei:

questa provede, giudica, e persegue

suo regno come il loro li altri dèi.

Le sue permutazion non hanno triegue:

necessità la fa esser veloce;

sì spesso vien chi vicenda consegue.

Quest' è colei ch'è tanto posta in croce

pur da color che le dovrien dar lode,

dandole biasmo a torto e mala voce;

ma ella s'è beata e ciò non ode:

con l'altre prime creature lieta

volve sua spera e beata si gode.

Or discendiamo omai a maggior pieta;

già ogne stella cade che saliva

quand' io mi mossi, e 'l troppo star si vieta».

Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva

sovr' una fonte che bolle e riversa

per un fossato che da lei deriva.

L'acqua era buia assai più che persa;

e noi, in compagnia de l'onde bige,

intrammo giù per una via diversa.

In la palude va c'ha nome Stige

questo tristo ruscel, quand' è disceso

al piè de le maligne piagge grige.

E io, che di mirare stava inteso,

vidi genti fangose in quel pantano,

ignude tutte, con sembiante offeso.

Queste si percotean non pur con mano,

ma con la testa e col petto e coi piedi,

troncandosi co' denti a brano a brano.

Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi

l'anime di color cui vinse l'ira;

e anche vo' che tu per certo credi

che sotto l'acqua è gente che sospira,

e fanno pullular quest' acqua al summo,

come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.

Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo

ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,

portando dentro accidïoso fummo:

or ci attristiam ne la belletta negra".

Quest' inno si gorgoglian ne la strozza,

ché dir nol posson con parola integra».

Così girammo de la lorda pozza

grand' arco, tra la ripa secca e 'l mézzo,

con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.

Venimmo al piè d'una torre al da sezzo.







Il canto settimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nel quarto e nel quinto cerchio, ove sono puniti rispettivamente gli avari e prodighi e gli iracondi e accidiosi; siamo nella notte tra l'8 e il 9 aprile 1300(Sabato Santo), o secondo altri commentatori tra il 25 e il 26 marzo 1300..

Analisi del canto

Pluto - versi 1-15.

Una similitudine chiude l'episodio di Pluto: Come le vele gonfie al vento che cadono giù quando si spezza l'albero di una barca, così si quietò "la fiera crudele".

Il canto inizia in modo sinistro con la minacciosa invocazione di Pluto "Pape Satàn, pape Satàn aleppe", interrotta da Virgilio che, dopo aver confortato Dante, fa tacere il mostro (sui cui attributi fisici viene speso meno di un verso) con una variante del "Vuolsi così colà dove si puote" dicendo "vuolsi ne l'alto la dove Michele fe la vendetta del superbo strupo", riferendosi alla cacciata di Lucifero dal paradiso, avvenuta per mano dell'arcangelo Michele. Questa frase, usata già altre due volte (con Caronte e con Minosse), il poeta non la farà più usare a Virgilio, per non far scadere la drammaticità degli ostacoli infernali, evitando d'ora in poi questo paradigmatico passe-partout. Pluto è qui posto probabilmente in quanto dio pagano della ricchezza, anche se è probabile che la sua figura fosse in qualche modo sovrapposta, almeno nel Medioevo, con quella di Plutone, e la mancanza di elementi che descrivano questo mostro a guardia del IV cerchio accresce l'elusività della questione.

Gli avari e i prodighi - vv. 16-66

Una volta scesi nella quarta fossa ("lacca", termine raro dal tardo latino laccus che sta per fossa, cisterna) Dante è quasi sorpreso da quello che vede ed esclama: "Giustizia divina! Ma chi ordinerebbe così tante pene (morali) e travagli (fisici) sempre strani e nuovi?". Parafrasando con molta approssimazione in parole attuali forse l'invocazione suonerebbe come "Nessuno avrebbe più fantasia della giustizia divina nel predisporre e assegnare le pene". A una frase magari un po' "frivola", Dante aggiunge subito una nota di rimprovero: "E perché noi umani ci riduciamo alle colpe che ci portano alla dannazione?". Segue una similitudine che introduce la pena dei dannati: come le onde che davanti a Cariddi (sullo Stretto di Messina), si scontrano con quelle che provengono dal mare opposte (poiché vi si incontrano il Mar Tirreno e ilIonio), così qui la gente sembrava presa in un ballo ("riddi" da riddare, cioè ballare la ridda, un ballo in cui si gira con molte persone in cerchio).

Dopo aver notato l'enorme quantità di persone, Dante inizia a descriverne la pena: spingere pesi con il petto lungo la circonferenza del cerchio, ma non in tondo; un gruppo occupa un semicerchio e l'altro gruppo un altro e girano in modo da scontrarsi in due punti estremi diametralmente opposti. In quei punti essi si ingiuriano dicendosi reciprocamente "Perché tieni?", "Perché burli (cioè sperperi)?", poi si voltano e rifanno il semicerchio nella direzione opposta.

Dante non chiede di quali peccatori si tratti, forse lo ha intuito dal loro grido, ma rivolgendosi a Virgilio domanda se tutte le persone con la chierica, che vede a sinistra, siano "chierici", cioè prelati. Virgilio conferma che si tratta di religiosi, papi e cardinali, (adesso viene espresso il loro peccato) macchiatisi della colpa dell'avarizia; non di meno quelli della schiera destra furono coloro che spesero senza misura.

Tradizionalmente si indica questi peccatori come gli avari e i prodighi. Per la prima volta vengono puniti nell'Inferno due peccati analoghi ma opposti nello stesso girone, legati all'incontinenza di chi sbagliò nel "troppo" o nel "troppo poco", in questo caso nello spendere. Fino ad ora infatti Dante non aveva incontrato casi di peccati punibili anche "in difetto": la mancanza di lussuria è infatti la castità, comportamento che nella dottrina cristiana è assimilato alla santità e alla disciplina religiosa, mentre nel Medioevo non esisteva un contraltare per la gola.

Di solito i nomi dei peccati e peccatori in Dante sono convenzionali, poiché non indicati dal poeta ma dalla critica successiva. Questa affermazione è vera per i prodighi, ma nel caso degli avari egli cita il peccato dell'avariziaesplicitamente (v. 48). In ogni caso il significato del peccato è leggermente più ampio del senso che comunemente si attribuisce oggi a questa parola: non solo taccagneria, ma avidità, rapacità di denaro, ricchezza e potere in generale. Questo peccato secondo Dante è uno dei più grandi mali della sua epoca ed è tipico degli uomini di chiesa (vv. 46-48), ma a soffrirne sono in molti: nel canto VI esso è per esempio indicato da Ciacco come una delle tre cause della sventura di Firenze, mentre l'avarizia è anche generalmente indicata come simboleggiata dalla lupa del primo canto. Qui comunque Dante assimila l'avarizia a tutta la categoria degli uomini di Chiesa, intesa quindi come peccato caratterizzante la maggior parte di questi religiosi. Un'accusa così diretta e grave poteva essere formulata dal poeta dall'alto della saldezza della sua fede religiosa, e in conformità con l'alta considerazione che egli nutriva per la missione sacerdotale. Dopotutto in Paradiso XI egli esalterà l'amore di san Francesco d'Assisi per la povertà, celebrata come suprema virtù cristiana.

Il contrappasso di questi dannati non è chiarissimo, comunque si può interpretare per analogia, come nato dal fatto che essi si sono lasciati sormontare dai beni terreni ai quali in vita diedero la massima priorità: nell'Inferno quindi essi sono obbligati all'inutile ronda di spostare in perpetuo ammassi di materia inerte, simbolo dell'inutilità vana delle loro azioni.

La "prodigalità" va intesa come peccato di incontinenza, cioè di chi "con misura nullo spendio ferci" (v. 42), cioè non spese mai con misura: sono gli accumulatori di beni, i "consumisti" diremmo oggi, da distinguere dagli "scialaquatori", i dissipatori di patrimoni e i violenti contro i propri beni, che Dante colloca nel II girone del VII cerchio assieme ai suicidi. Sul perché il poeta scelga come simbolo del loro peccato il cranio rasato, che essi mostreranno al tempo della resurrezione (v. 57), forse può illuminare un passo di Sant'Ambrogio che dice come radere i capelli sia come recidere dal pensiero le cose mondane e superflue.

Dante chiede a Virgilio se può riconoscere alcuno tra questi peccatori (come aveva fatto nei cerchi precedenti), ma il suo maestro lo ragguaglia su come ciò sia impossibile, tanto questi spiriti sono "imbruniti" come contrappasso della loro "sconoscente vita" cioè la loro vita dissennata (conoscenza è usato come sinonimo di misura, cfr. Convivio Libro 3, XV 9).

La fortuna - vv. 67-99

Una citazione da parte di Virgilio circa la fugacità ("la corta buffa", letteralmente la breve ventata) dei beni materiali che sono legati alla fortuna, per i quali l'umanità si azzuffa, fa introdurre appunto il tema della fortuna stessa. Dante chiede chi o che cosa sia questa entità che tiene in mano i beni del mondo, e Virgilio si prodiga in una spiegazione, che associa la fortuna alle altre entità celesti che muovono i cieli: essa ha il dovere di muovere i beni terreni ed il suo giudizio è "occulto", imperscrutabile, come i serpentelli ("l'angue", v. 84) che strisciano nascosti nell'erba. Molti la maledicono, anche se dovrebbero ringraziarla, ma essa è una creatura beata e non ode certe imprecazioni: sta con le altre creature celesti, gira la sua sfera lieta e beatamente gode della sua condizione.

Questo passo è un primo esempio di poesia di carattere didascalico e dottrinale, che diventerà ben più frequente soprattutto nelle prossime cantiche.

Prima di proseguire il cammino Virgilio fa notare come le stelle stiano tramontando rispetto a quando sono partiti (dalla "selva oscura"), quindi sia circa mezzanotte.

La palude dello Stige e gli iracondi - vv. 100-130



Qui Dante vede genti ignude immerse nel pantano, prese dalla furia che le fa picchiare tra di loro con tutto il corpo: mani, piedi, testa e denti. Virgilio chiarisce presto che si tratta delle "anime di color cui vinse l'ira", ma anche sott'acqua è pieno di dannati, gli accidiosi o "iracondi amari" coloro che covarono dentro di sé la propria rabbia e che adesso fanno ribollire la palude con i loro tristi pensieri.

Ancora per la prima volta in questo canto troviamo una rottura dello schema girone-canto, cioè la segmentazione poetica non corrisponde più a quella dei cerchi infernali. Infatti si arriva subito al prossimo cerchio, dove i due poeti incontrano una fonte dalla quale sgorgano acque nere che ribollono, che alimentano la palude dello Stige, fiume già citato da Virgilio nell'Eneide.

Alcuni critici vollero sostenere che nella palude si trovino nascosti anche altri peccatori che non trovano punizione altrove, come i superbi e gli invidiosi... a parte che non c'è nessun indizio per sostenere una tale ipotesi, c'è da sottolineare come Dante nell'Inferno segua la partizione dei peccatori sulla falsariga di Aristotele (quindi non secondo lo schema dei sette vizi capitali a cui superbia e invidia appartengono), mentre seguirà la disciplina cristiana nello strutturare i peccatori nel Purgatorio.

Camminando, i due poeti arrivano quindi ai piedi di una torre, nel punto in cui il canto si interrompe. L'ottavo canto si apre invece quando Dante e Virgilio non sono ancora al di sotto della torre. Quindi tra la fine del VII canto e l'inizio dell'VIII vi è una discrepanza cronologica.

Due sono le ipotesi più accreditate: secondo il Boccaccio, Dante avrebbe scritto i primi sette canti della sua opera quando si trovava ancora a Firenze prima di essere mandato in esilio e si sarebbe fatto mandare i primi canti dopo essere stato esiliato; un'altra ipotesi è quella che afferma che Dante avesse inizialmente l'intenzione di scrivere la sua Commedia in latino[senza fonte] e, effettivamente, avrebbe scritto i primi sette canti della cantica infernale in latino, appunto. Dopo essere stato mandato in esilio avrebbe proceduto alla traduzione dei canti e si sarebbe così prodotta quella increspatura nella cronologia dei canti.





Gustave Doré.

Paul Gustave Doré (Strasburgo6 gennaio 1832 – Parigi23 gennaio 1883) è stato un pittore e incisorefrancese. Illustratore di straordinario valore, disegnatore e litografo, è noto soprattutto per le sue illustrazioni della Divina Commedia di Dante (1861 - 1868), ma questa opera è solo una delle molte che ha illustrato.

Nato a Strasburgo, Doré si trasferì giovane a Parigi dove, a sedici anni, cominciò la sua carriera di disegnatore e illustratore. Iniziò come caricaturista per un giornale dell’epoca, affermandosi rapidamente per le sue doti tecniche e artistiche.

L'arte di Doré ebbe dei grandi estimatori già tra i suoi contemporanei. La sua edizione della Bibbia(1865) ottenne un enorme successo, e nel 1867 Doré fu protagonista d'una grande mostra delle sue opere a Londra. Questa portò alla creazione della Doré Gallery, situata in New Bond Street, sempre nella capitale inglese.

Nel 1869, Blanchard Jerrold, figlio di Douglas Jerrold, suggerí all'artista di lavorare insieme per produrre un grande ritratto di Londra, prendendo l'ispirazione dal "Microcosmo di Londra", prodotto da Rudolph AckermannWilliam Pyne e Thomas Rowlandson nel 1808.

Doré firmò un contratto di cinque anni con l'editore Grant & Co, che lo portò a vivere nella capitale inglese per tre mesi all'anno. Fu pagato ben 10.000 sterline all'anno, una cifra stratosferica all'epoca. Il libro, London: A Pilgrimage (Londra: Un Pellegrinaggio), contenente 180 incisioni di Doré, venne pubblicato nel 1872.

Nonostante il successo commerciale, molti critici non apprezzarono il libro. La maggior parte fu in disappunto per la scelta di Doré di concentrarsi in molte tavole sulla povertà e le situazioni di disagio della città inglese. Venne accusato dall'Art Journal di "aver inventato invece che riprodotto".

London: A Pilgrimage fu comunque un successo commerciale e Doré ricevette commissioni da molti altri editori britannici, e lavorò anche per l'Illustrated London News. Nel suo laboratorio arrivò ad avere, nei momenti di maggior attività, più di quaranta illustratori, tra collaboratori e allievi.

L'artista continuò a lavorare fino alla sua morte, a Parigi, nel 1883, dove è sepolto al cimitero di Père Lachaise.

Le opere maggiori.

Tra le opere illustrate da Doré vanno ricordate, oltre alla Divina Commedia:

Si tratta in tutti i casi d’incisioni in legno (xilografiche).

 

 

La Commedia o Divina Commedia (originariamente Comedìa; l'aggettivoDivina, attribuito da Boccaccio, si ritrova solo a partire dalle edizioni a stampa del 1555 a cura di Ludovico Dolce) è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua volgare fiorentina. Composta secondo i critici tra il 1304 e il 1321, laCommedia è l'opera più celebre di Dante, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale; conosciuta e studiata in tutto il mondo, è ritenuta il più grande capolavoro della letteratura di tutti i tempi.

Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche (InfernoPurgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). Il poeta narra di un viaggio attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegoricadell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medioevale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica.

Curioso notare come tutte le tre cantiche terminino con la parola "stelle". ("E quindi uscimmo a riveder le stelle." l'Inferno, "Puro e disposto a salir a le stelle." il Purgatorio e"L'amor che move il sole e le altre stelle." il Paradiso)

Argomento.

« Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita
.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!

Tant' è amara che poco è più morte,
ma per trattar del bene ch'io vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte. »
(Dante AlighieriInferno Ivv. 1-6)

Il racconto dell'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con un Canto introduttivo (che serve da proemio all'intero poema), nel quale il poeta Dante Alighieri racconta in prima persona del suo smarrimento spirituale; si ritrae, infatti, "in una selva oscura", allegoria delpeccato, nella quale era giunto poiché aveva smarrito la "retta via", quella della virtù (si ritiene che Dante si senta colpevole, più degli altri, del peccato di lussuria, che infatti, contrariamente alla tipica visione cattolica, nell'Inferno e nel Purgatorio è posto sempre come il meno grave tra i peccati puniti). Tentando di trovarne l'uscita, il poeta scorge un colle illuminato dalla luce del sole; tentando di salirvi per avere più ampia visuale, però, viene ostacolato da tre belve: una lonza (lince), allegoria della lussuria, un leone, simbolo della superbia, e una lupa, che rappresenta l'avidità, i tre vizi che stanno alla base di ogni male. Tanta è la paura che il trio incute, che Dante cade all'indietro, lungo il pendio.

Risollevandosi, scorge l'anima del grande poeta Virgilio, a cui chiede aiuto. Virgilio rivela che per arrivare alla cima del colle ed evitare le tre bestie feroci, bisognerà intraprendere una strada diversa, più lunga e penosa, attraverso il bene e il male, profetizza che il trio sarà fatto morire da un alquanto misterioso Veltro, si presenta come l'inviato di Beatrice, la donna amata da Dante (morta a soli ventiquattro anni), la quale aveva interceduto presso Dio affinché il poeta fosse redento dai peccati; Virgilio e Beatrice sono in realtà due allegorie rispettivamente della ragione e della teologia: il primo in quanto considerato il poeta più sapiente della classicità, la seconda in quanto scala al fattore, secondo la visione elaborata da Dante nella Vita Nuova.

Dalla collina di Gerusalemme su cui si trova la selva, Virgilio condurrà Dante attraverso l'Inferno e il Purgatorio perché attraverso questo viaggio la sua anima possa risollevarsi dal male in cui era caduta. Poi Beatrice prenderà il posto di Virgilio, sarà lei la guida di Dante nel Paradiso. Virgilio, nel racconto allegorico, rappresenta la ragione, ma la ragione non basta per giungere fino a Dio; è necessaria la fede, e Beatrice rappresenta questa virtù. Virgilio inoltre, non ha conosciuto Cristo, non è battezzato e perciò non gli è consentito di avvicinarsi al seggio dell'Onnipotente.

INFERNO.

Il vero e proprio viaggio attraverso l'Inferno ha inizio nel Canto III (nel precedente Dante esprime i suoi dubbi e le sue paure a Virgilio riguardo al viaggio che stanno per compiere). Dante e Virgilio si trovano sotto la città di Gerusalemme, davanti alla grande porta su cui sono impressi i versi celeberrimi che aprono questo canto. L'ultimo di quei versi: "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate", incute nuovi dubbi e nuovo timore in Dante, ma il suo maestro e guida gli sorride e lo prende per mano perché ormai bisogna andare avanti. In questo luogo senza tempo e senza luce, l'Antinferno, stazionano per sempre gli ignavi. Quelli che in vita non vollero prendere posizioni, ed ora sono ritenuti indegni sia di premio (Paradiso) che di castigo (Inferno); poco più in là sulla riva dell'Acheronte (il primo fiume infernale), stanno provvisoriamente le anime che devono raggiungere l'altra riva, in attesa che Caronte, il primo guardiano infernale, le spinga nella sua barca e le traghetti di là.

L'inferno dantesco è immaginato come una serie di anelli numerati, sempre più stretti che si succedono in sequenza e formano un tronco di cono rovesciato; l'estremità più stretta si trova in corrispondenza del centro della Terra ed è interamente occupata da Lucifero che, movendo le sue enormi ali, produce un vento gelido: è il ghiaccio la massima pena. In questo Inferno, ad ogni peccato, corrisponde un cerchio, ed ogni cerchio successivo è più profondo del precedente e più vicino a Lucifero; più grave è il peccato, maggiore sarà il numero del cerchio.

Al di là dell'Acheronte si trova il primo cerchio, il Limbo. Qui stanno le anime dei puri che non ricevettero il battesimo e che però vissero nel bene; vi si trovano anche - in un luogo a parte dominato da un "nobile castello" - gli antichi "spiriti magni" che compirono grandi opere a vantaggio del genere umano (Virgilio stesso è tra loro). Oltre il Limbo, Dante e il suo maestro entrano nell'Inferno vero e proprio. All'ingresso sta Minosse, il secondo guardiano infernale che, da giudice giusto quale fu, indica in quale cerchio infernale ogni anima dovrà scontare la sua pena. Superato Minosse, i due si ritrovano nel secondo cerchio, dove sono puniti i lussuriosi: tra essi le anime di SemiramideCleopatra ed Elena di Troia. Celebri i versi del quinto canto su Paolo e Francesca[8] che raccontano la loro storia e passione amorosa. Ai lussuriosi, travolti dal vento, succedono nel terzo cerchio, i golosi; questi sono immersi in un fango puzzolente, sotto una pioggia senza tregua, e vengono morsi e graffiati da Cerbero, terzo guardiano infernale; dopo di loro, nel quarto cerchio, stanno gli avari e i prodighi, divisi in due schiere destinate a scontrarsi per l'eternità mentre fanno rotolare massi di pietra lungo la circonferenza del cerchio.

Dante e Virgilio giungono poi al quinto cerchio, davanti allo Stige, nelle fangose acque del quale sono puniti iracondi e accidiosi; i due Poeti vengono traghettati sulla riva opposta dalla barca di Flegiàs, quarto guardiano infernale. Lì, sull'altra sponda, sorge la Città di Dite(sesto cerchio), in cui sono puniti i peccatori consapevoli del loro peccare. Davanti alla porta chiusa della città, i due sono bloccati dai demoni e dalle Erinni; entreranno solo grazie all'intervento dell'Arcangelo Michele, e vedranno come sono puniti coloro "che l'anima col corpo morta fanno", cioè gli epicurei e gli eretici in generale: tra gli eretici incontranoFarinata degli Uberti, uno dei più famosi personaggi dell'Inferno dantesco.

Oltre la città, il poeta e la sua guida scendono verso il settimo cerchio lungo uno scosceso burrone (l' alta ripa), alla fine del quale si trova il terzo fiume infernale, il Flegetonte, un fiume di sangue bollente. Questo fiume costituisce il primo dei tre gironi in cui è diviso il VII cerchio; vi sono puniti i violenti tra cui il Minotauro ucciso da Teseo con l'aiuto di Arianna. Nel Flegetonte, scontano la loro pena i violenti verso il prossimo. Oltre il fiume, sull'altra sponda è il secondo girone, (che Dante e Virgilio raggiungono grazie all'aiuto del centauroNesso); qui stanno i violenti contro sé stessi, i suicidi trasformati in arbusti secchi, feriti e straziati per l'eternità dalle Arpie; tra loro troviamo Pier delle Vigne); nel secondo girone stanno anche gli scialacquatori, inseguiti e sbranati da cagne. L'ultimo girone, il terzo, è una landa infuocata, ed ospita i violenti contro Dio, la Natura e l'Arte, ossia i bestemmiatori, isodomiti (tra cui Brunetto Latini) e gli usurai. A quest'ultimo girone Dante dedicherà molti versi dal Canto XIV al Canto XVII.

Alla fine del VII cerchio, Dante e Virgilio, scendono per un burrato (burrone) in groppa aGerione, il mostro infernale dal volto umano, zampe leonine, corpo di serpente e coda di scorpione. Così raggiungono l'VIII cerchio chiamato Malebolge, dove sono puniti ifraudolenti. L'ottavo cerchio è diviso in dieci bolge; ogni bolgia è un fossato a forma di cerchio. I cerchi sono concentrici, scavati nella roccia e digradanti verso il basso, alla base di essi si apre il Pozzo dei Giganti. Nelle bolge sono puniti, nell'ordine, ruffiani, adulatori,simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti - tra cui Ulisse eDiomede. Ulisse racconta ai due viandanti il suo ultimo viaggio; qui si vede che Dante non era a conoscenza della predizione di Tiresia sulla morte di Ulisse e perciò ne inventa la fine in un gorgo marino al di là delle Colonne d'Ercole, simbolo per Dante della ragione e dei limiti del mondo. Si incontrano seminatori di discordie e falsari - tra cui, nella decima bolgia, il "folletto" Gianni Schicchi); infine i due accedono al IX ed ultimo cerchio, dove sono puniti i traditori.

Questo cerchio è diviso in quattro zone, coperte dalle acque gelate del Cocito. Nella prima zona, chiamata Caina (dal nome Caino, che uccise il fratello Abele), sono puniti i traditori dei parenti; nella seconda, Antenora (dal nome Antenore, il Troiano che consegnò il Palladio ai nemici greci), stanno i peccatori come lui: traditori della patria; nella terza, Tolomea (dal nome del re Tolomeo XIII, che al tempo di Cesare uccise il suo ospite Pompeo), si trovano i traditori degli ospiti; infine nella quarta, Giudecca (dal nome Giuda Iscariota, che tradìGesù), sono puniti i traditori dei benefattori. Nell'Antenora Dante incontra il Conte Ugolinoche narra della sua segregazione nella Torre della Muda con i figli e la loro morte per fame. Segregazione e morte volute dall'Arcivescovo RuggieriUgolino appare nell'Inferno sia come un dannato che come un demone vendicatore, che rode per l'eternità il capo del suo aguzzino, l'Arcivescovo Ruggieri. Dell'ultima zona si trovano i tre grandi traditori: Cassio,Bruto e Giuda Iscariota; la loro pena consiste nell'essere maciullati dalle tre bocche diLucifero, che qui ha la sua dimora.

Scendendo lungo il suo corpo peloso, Dante e Virgilio raggiungono una grotta e scendono alcune scale. Dante è stupito: non vede più la schiena di Lucifero e Virgilio gli spiega che ora si trovano nell'Emisfero Australe. Attraversano quindi la natural burella, il canale che li condurrà alla spiaggia del Purgatorio, alla base della quale usciranno poco dopo "a riveder le stelle".

PURGATORIO.

Usciti dall'Inferno attraverso la natural burella, Dante e Virgilio si ritrovano nell'emisfero australe terrestre (che si credeva interamente ricoperto d'acqua), dove, in mezzo al mare, s'innalza la montagna del Purgatorio, creata con la terra che servì a scavare il baratro dell'Inferno, quando Lucifero fu buttato fuori dal Paradiso dopo la rivolta contro Dio. Usciti dal cunicolo, i due giungono su una spiaggia, dove incontrano Catone Uticense, che svolge il compito di guardiano del Purgatorio. Dovendo cominciare a salire la ripida montagna, che si dimostra impossibile da scalare, tanto è ripida, Dante chiede ad alcune anime quale sia il varco più vicino; sono questi la prima schiera dei negligenti, i morti scomunicati, che hanno dimora nell'antipurgatorio. Nella I schiera di negligenti dell'antipurgatorio Dante incontraManfredi di Svevia. Assieme a coloro che tardarono a pentirsi per pigrizia, ai morti per violenza e ai principi negligenti, infatti, essi attendono il tempo di purificazione necessario a permettere loro di accedere al Purgatorio vero e proprio. All'ingresso della valletta dove si trovano i principi negligenti, Dante, su indicazione di Virgilio, chiede indicazioni ad un'anima che si rivela essere una sorta di guardiano della valletta, il concittadino di Virgilio Sordello, che sarà la guida dei due fino alla porta del Purgatorio.

Giunti alla fine dell'Antipurgatorio, superata una valletta fiorita, i due varcano la porta del Purgatorio; questa è custodita da un angelo recante in mano una spada fiammeggiante, che sembra avere vita propria, e preceduto da tre gradini, il primo di marmo bianco, il secondo di una pietra scura e il terzo in porfido rosso. L'angelo, seduto sulla soglia di diamante e appoggiando i piedi sul gradino rosso, incide sette "P" sulla fronte di Dante, poi apre loro la porta tramite due chiavi (una d'argento e una d'oro) che aveva ricevuto da San Pietro; quindi i due poeti si addentrano nel secondo regno.

Il Purgatorio è diviso in sette 'cornici', dove le anime scontano i loro peccati per purificarsi prima di accedere al Paradiso. Al contrario dell'Inferno, dove i peccati si aggravavano maggiore era il numero del cerchio, qui alla base della montagna, nella I cornice, stanno coloro che si sono macchiati delle colpe più gravi, mentre alla sommità, vicino al Paradiso terrestre, i peccatori più lievi. Le anime non vengono punite in eterno, e per una sola colpa, come nel primo regno, ma scontano una pena pari ai peccati commessi durante la vita.

Nella prima cornice, Dante e Virgilio incontrano i superbi, nella seconda gli invidiosi, nella terza gli iracondi, nella quarta gli accidiosi, nella quinta gli avari e i prodighi. In questa cornice ai due viaggiatori si unisce l'anima di Stazio dopo un terremoto e un canto Gloria in excelsis Deo (Dante riteneva Stazio convertito al cristianesimo); questi si era macchiato in vita di eccessiva prodigalità: proprio in quel momento egli, che dopo cinquecento anni di espiazione in quella cornice aveva sentito il desiderio di assurgere al Paradiso, si offre di accompagnare i due fino alla sommità del monte, attraverso le cornici sesta, dove espiano le loro colpe i golosi che appaiono magrissimi, e settima, dove stanno i lussuriosi avvolti dalle fiamme. Dante ritiene che Stazio si sia convertito grazie a Virgilio e alle sue opere, che hanno aperto gli occhi a Stazio: egli, infatti, grazie all'Eneide e alle Bucoliche ha capito l'importanza della fede cristiana e l'errore del vizio della prodigalità: come un lampadoforo, Virgilio ha fatto luce a Stazio rimanendo però al buio; fuor di metafora, Virgilio è stato un profeta inconsapevole: ha portato Stazio alla fede ma lui, avendo fatto in tempo solo ad intravederla, non ha potuto salvarsi, ed è costretto a soggiornare per l'eternità nel Limbo. Ascesi alla settima cornice, i tre devono attraversare un muro di fuoco, oltre il quale si diparte una scala, che dà accesso al Paradiso terrestre. Paura di Dante e conforto da parte di Virgilio. Giunti qui, il luogo dove per poco dimorarono Adamo ed Eva prima del peccato, Virgilio e Dante si devono congedare, poiche il poeta latino non è degno di guidare il toscano fin nel Paradiso, e sarà Beatrice a farlo.

Quindi Dante si imbatte in Matelda, la personificazione della felicità perfetta, precedente alpeccato originale, che gli mostra i due fiumi Letè, che fa dimenticare i peccati, ed Eunoè, che restituisce la memoria del bene compiuto, e si offre di condurlo all'incontro con Beatrice, che avverrà poco dopo. Beatrice rimprovera duramente Dante e dopo si offre di farsi vedere senza il velo: Dante durante i rimproveri cerca di scorgere il suo vecchio maestro Virgilio che ormai non c'è più. Dopo aver bevuto le acque del Letè e poi dell'Eunoè, infine, Dante segue Beatrice verso il terzo ed ultimo regno: il Paradiso.

PARADISO.

Libero da tutti i peccati, adesso Dante può ascendere al Paradiso e, accanto a Beatrice, vi accede volando ad altissima velocità. Egli sente tutta la difficoltà di raccontare questotrasumanare, andare cioè al di là delle proprie condizioni terrene, ma confida nell'aiuto dello Spirito Santo (il buon Apollo) e nel fatto che il suo sforzo descrittivo sarà continuato da altri nel tempo (Poca favilla gran fiamma seconda... canto I, 34).

Il Paradiso è composto da nove cerchi concentrici, al cui centro sta la Terra; in ognuno di questi cieli, dove risiede un pianeta diverso, stanno i beati, più vicini a Dio a seconda del loro grado di beatitudine. Ma le anime del Paradiso non stanno meglio o peggio, e nessuno desidera una condizione migliore di quella che ha, poiché la carità non permette di desiderare altro se non quello che si ha; Dio, al momento della nascita, ha donato secondo criteri inconoscibili ad ogni anima una certa quantità di grazia, ed è in proporzione a questa che essi godono diversi livelli di beatitudine. Prima di raggiungere il primo cielo i due attraversano la Sfera di Fuoco.

Nel primo cielo, quello della Luna, stanno coloro che mancarono ai voti fatti (Angeli); nel secondo, il cielo di Mercurio, risiedono coloro che in Terra fecero del bene per ottenere gloria e fama, non indirizzandosi al bene divino (Arcangeli); nel terzo cielo, quello di Venere, stanno le anime degli spiriti amanti (Principati); nel quarto, il cielo del Sole, gli spiriti sapienti (Potestà); nel quinto, il cielo di Marte, gli spiriti militanti dei combattenti per la fede (Virtù); e nel sesto, il cielo di Giove, gli spiriti governanti giusti (Dominazioni).

Giunti al settimo cielo, quello di Saturno dove risiedono gli "spiriti contemplativi" (Troni), Beatrice non sorride più, come invece aveva fatto finora; il suo sorriso, infatti, da qui in poi, a causa della vicinanza a Dio, sarebbe per Dante insopportabile alla vista, tanto luminoso risulterebbe. In questo cielo risiedono gli spiriti contemplativi, e da qui Beatrice innalza Dante fino al cielo delle Stelle fisse, dove non sono più ripartiti i beati, ma nel quale si trovano le anime trionfanti, che cantano le lodi di Cristo e della Vergine Maria, che qui Dante riesce a vedere; da questo cielo, inoltre, il poeta osserva il mondo sotto di sé, i sette pianeti e i loro moti e la Terra, piccola e misera in confronto alla grandezza di Dio (Cherubini). Prima di proseguire Dante deve sostenere una sorta di "esame" in Fede, Speranza, Carità, da parte di tre professori particolari: San Pietro, San Giacomo e San Giovanni. Quindi, dopo un ultimo sguardo al pianeta, Dante e Beatrice assurgono al nono cielo, il Primo Mobile oCristallino, il cielo più esterno, origine del movimento e del tempo universale (Serafini).

In questo luogo, sollevato lo sguardo, Dante vede un punto luminosissimo, contornato da nove cerchi di fuoco, vorticanti attorno ad esso; il punto, spiega Beatrice, è Dio, e attorno a lui stanno i nove cori angelici, divisi per quantità di virtù. Superato l'ultimo cielo, i due accedono all'Empireo, dove si trova la rosa dei beati, una struttura a forma di anfiteatro, sul gradino più alto della quale sta la Vergine Maria. Qui, nell'immensa moltitudine dei beati, risiedono i più grandi santi e le più importanti figure delle Sacre Scritture, comeSant'AgostinoSan BenedettoSan Francesco, e inoltre EvaRacheleSara e Rebecca.

Da qui Dante osserva finalmente la luce di Dio, grazie all'intercessione di Maria alla qualeSan Bernardo (guida di Dante per l'ultima parte del viaggio) aveva chiesto aiuto perché Dante potesse vedere Dio e sostenere la visione del divino, penetrandola con lo sguardo fino a congiungersi con Lui, e vedendo così la perfetta unione di tutte le realtà, la spiegazione del tutto nella sua grandezza. Nel punto più centrale di questa grande luce, Dante vede tre cerchi, le tre persone della Trinità, il secondo del quale ha immagine umana, segno della natura umana, e divina allo stesso tempo, di Cristo. Quando egli tenta di penetrare ancor più quel mistero il suo intelletto viene meno, ma in un excessus mentis la sua anima è presa da un'illuminazione e si placa, realizzata dall'armonia che gli dona la visione di Dio, dell'amor che move il sole e l'altre stelle.

 
 
 
WOOD ENGRAVING - GRAVURE SUR BOIS - HOLZSTICH - XILOGRAFIA.



XILOGRAFIA  ORIGINALE  (TIRATURA D'EPOCA)  ESTRATTA  (TOLTA)  DALL'OPERA: "LA  DIVINA  COMMEDIA"  DI  DANTE  ALIGHIERI,  ILLUSTRATA  DA  GUSTAVO  DORE'  E  DICHIARATA  CON  NOTE  TRATTE  DAI  MIGLIORI  COMMENTI  PER  CURA  DI  EUGENIO  CAMERINI;  MILANO,  STABILIMENTO  DELL'EDITORE  EDOARDO  SONZOGNO,  1880.


L'INCISIONE  E'  UNA  TAVOLA  A  PIENA  PAGINA,  CON  MARGINI  BIANCHI  E  RETRO  BIANCO,  HA  PIU'  DI  130  ANNI   ED  E'  IN  BUONO  STATO,  E'  BELLISSIMA,  ABBASTANZA  NITIDA,  MOLTO  PITTORESCA  E  SUGGESTIVA.  MISURE  PAGINA  cm  23 x 31,  MISURE  PARTE  INCISA  (LA  SOLA  IMMAGINE)  cm  20 x 25
  CON  MARGINI  BIANCHI,  MISURE  CON  PASSEPARTOUT  cm 32 x 38,  RETRO  BIANCO.

 

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